Le conseguenze sono ben note: tranne momenti di minore disponibilità di taluni prodotti, le principali tipicità ortofrutticole italiane incontrano difficoltà crescenti a spuntare un'adeguata remunerazione. La "commodizzazione", cioè l'appiattimento verso il basso di un'offerta ortofrutticola standardizzata e indistinguibile, appare un fenomeno quasi irreversibile.
All'orizzonte, poi, si staglia una nuova prospettiva - ancora solo agli albori - nei confronti della quale il nostro Paese si troverà del tutto impreparato: quella di produzioni ortofrutticole ad elevatissimo contenuto bio-tecnologico, cioè dotate di tratti genetici superiori e finora solo accennati dalle nuove proposte di mele o patate che non imbruniscono, di colture resistenti a stress idrici e fitopatie, di frutti e ortaggi trasformati in super-food con proprietà nutraceutiche e perfino medicinali.
La strada percorribile appare dunque una soltanto, quella virtuosa. Cioè quella che porta a collegare le produzioni ortofrutticole italiane a valori forse apparentemente immateriali e intangibili, ma che hanno invece ricadute concrete, riconoscibili, distintive e con una portata ad ampio spettro, anche nel percepito del consumatore.
Collegare la produzione di frutta e verdura al nostro patrimonio ambientale e artistico, per esempio, oppure agli aspetti etici e sociali, come nelle storie che raccontiamo anche su FreshPlaza e che parlano di sostenibilità, solidarietà, aiuto concreto alla collettività, benessere delle persone e tutela della natura (si chiami essa agricoltura biologica o biodiversità).
Un quadro in cui non c'è spazio per sotterfugi e irregolarità, per scorciatoie o scarsa trasparenza, perché se perderemo anche questa occasione per fare la differenza, il mercato - e la Storia - non ci perdoneranno. E allora, almeno facciamo di necessità virtù.