Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber
Il punto sulla ricerca in Regione

"Emilia-Romagna: "La batteriosi del kiwi ora fa meno paura"

Se dovessimo istituire un premio per la frase che meglio sintetizza 6 anni di presenza della batteriosi negli actinidieti emiliano romagnoli, questo andrebbe probabilmente a Raffaele Testolin, dell'università di Udine, chiamato ieri 15 dicembre 2015 a Faenza (RA) a moderare il convegno "La batteriosi del kiwi: i risultati del progetto regionale", convegno promosso da Regione Emilia-Romagna e Crpv – Centro Ricerche Produzioni Vegetali. In chiusura dei lavori Testolin ha chiosato così: "Ai primi convegni il clima era di disperazione, oggi non è certo una festa, ma l'impressione è che la situazione si possa tenere sotto controllo con un po' di attenzione e con buone pratiche agronomiche".


Una slide presentata ieri sui finanziamenti erogati in Emilia-Romanga nella lotta alla Psa; a destra, Raffaele Testolin dell'Università di Udine

Difatti, da quando nel 2009 è stato individuato il primo focolaio di batteriosi, di passi in avanti ne sono stati fatti; anche sul fronte della ricerca e della conoscenza. E il convegno di ieri voleva proprio mostrare (tutti insieme, segno che non esiste probabilmente né un'unica causa né un'unica soluzione) i risultati ottenuti dai due progetti regionali cofinanziati appunto dalla Regione e dal Crpv per un importo di circa 700mila euro. La ricerca si è mossa su ogni fronte, studiando l'epidemiologia della malattia, i possibili antagonisti, gli aspetti agronomici che possono influenzare Psa, la suscettibilità delle varietà di actinidia e l'efficacia dei prodotti fitosanitari.


Paola Minardi, dell'Università di Bologna, dipartimento di Scienze Agrarie.

A oggi in Romagna, specie nel faentino, dove si concentra il grosso della produzione di kiwi emiliano-romagnolo, si stima che la superficie infetta si aggiri intorno al 70% del totale coltivato a kiwi. Da notare che infetto non significa danneggiato, visto e considerato – come ha messo in evidenza ieri Paola Minardi, dell'Università di Bologna, co-autrice di una ricerca in tal senso – che la batteriosi ha un lungo periodo di latenza, tant'è che si ritiene fosse presente già prima del 2009, ma che solo allora abbia trovato le condizioni per far danni. E se il numero della superficie colpita può spaventare, ce n'è un altro che merita un po' d'attenzione: quello degli ettari estirpati negli anni.


Loredana Antoniacci, del Servizio Fitosanitario regionale dell'Emilia-Romagna.

Dal 2010 a oggi sono stati estirpati in totale circa 210 ettari di actinidieti. Il picco si è avuto nel 2013, con circa 100 ettari, mentre l'anno successivo si era scesi a poco meno di 57 ettari estirpati. "Nel 2015 sono stati circa 5 gli ettari estirpati", spiega Loredana Antoniacci, del Servizio Fitosanitario regionale, intervenuta ieri. "Dalla Regione – spiega – sono arrivati finanziamenti per abbattimenti e attività di ricerca per frutticoltori e vivaisti per circa 3 milioni di euro. Nel 2015 non sono stati previsti contributi per l'abbattimento, perché con Psa siamo in una situazione di 'buona convivenza'. Insomma, adottando buone pratiche si può convivere senza grosse perdite con la fitopatia e oggi gli agricoltori effettuano tutta una serie di trattamenti e gestiscono il frutteto con accorgimenti che prima non c'erano".


Il pubblico al convegno di ieri

"Anche la nuova normativa ha aiutato molto – riprende la Antoniacci – prima il kiwi proveniente dai vivai non era controllato, ora lo è. Lo stesso vale per il polline; in Nuova Zelanda sostengono che per loro la causa scatenante sia stata l'importazione di polline infetto dalla Cina; noi non sappiamo ancora quale sia stata, invece, la causa dei nostri focolai".


Un momento del convegno di ieri. Nella slide si notano le OP del territorio che hanno fatto da gruppo di lavoro per la ricerca.

Tuttavia, nonostante la batteriosi faccia meno paura che in passato, la strada è ancora lunga e la ricerca va avanti, perché appunto la malattia può essere presente e passare inosservata semplicemente perché non fa danni e questo diventa di primaria importanza per i vivaisti. "Servono – riprende la Minardi – tecniche di analisi per individuare anche concentrazioni molto basse del batterio, per garantire la salubrità delle piante madri, perché con le classiche tecniche di coltura alle volte è difficile individuarlo", specie in concentrazioni molto basse, che certo non lo rendono meno pericoloso.


Emilio Stefani, dell'Università di Modena e Reggio Emilia.

Inoltre manca ancora una soluzione; stando a quanto riportato ieri, buoni risultati li sta dando una ricerca condotta da Emilio Stefani e colleghi dell'Università di Modena e Reggio Emilia, i quali stanno studiando possibili batteri antagonisti dello Pseudomonas syringae pv. Actinidiae (Psa). "Ne abbiamo isolati una serie – spiega Stefani – prelevati dagli actinidieti in estirpo in Lazio e in Emilia-Romagna, da quelle piante che comunque si presentavano in salute". Alcuni stanno dando buoni risultati e sono già stati individuati in parte i meccanismi alla base del funzionamento di questi antagonisti di Psa. Alcuni sfruttano l'iron competency, il sequestro di ferro, che serve agli altri batteri, Psa compreso; altri producono metaboliti che non uccidono Psa, ma gli impediscono di far danni, altri hanno un gene che, quando espresso, impedisce a Psa di moltiplicarsi; un altro ha due sequenze geniche che producono dei peptidi antibatterici che uccidono Psa.


A destra Francesco Spinelli, dell'Università di Bologna, durante l'intervento di ieri.

Sul fronte delle pratiche agronomiche, "la coltivazione sotto tunnel sembra molto promettente", commenta intervenendo al convegno di ieri Francesco Spinelli, dell'Università di Bologna e impegnato nella ricerca degli aspetti agronomici che possono limitare lo sviluppo della batteriosi. "Con la copertura – spiega – cambia l'ambiente: l'umidità, la bagnatura fogliare, la radiazione solare. Questo ha effetti pratici sulla pianta, come una maggiore vigoria e più gemme, ma soprattutto ha un effetto chiaro di suscettibilità alla malattia, cambia la mobilità batterica, cambia la biofilia. Molto dipende dalla luce e abbiamo notato che una pellicola blu o rossa aiuta il batterio".


Un momento del convegno di ieri. Chi parla nella foto è Enrico Biondi, Dell'Università di Bologna, autore di una ricerca per individuare le varietà di kiwi e portinnesti più suscettibili a Psa.

Pure sono in corso ricerche per trovare agrofarmaci che possano essere usati contro la batteriosi, anche e soprattutto in alternativa al rame, che appare oggi la soluzione più efficace; questo anche in vista, rimarcano sia Marina Collina dell'Università di Bologna sia Massimo Scannavini di Astra Innovazione, autori di ricerche sul tema, delle future restrizioni all'uso cui il rame dovrà andare incontro.

Contatti:
Crpv – Centro Ricerche Produzioni Vegetali
Via dell'Arrigoni, 120
47522 Cesena (FC)
Tel.: (+39) 0547 313514
Fax: (+39) 0547 317246
Email: [email protected]
Web: www.crpv.it

Articoli Correlati → Vedi