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OI Pera: pianificare l'offerta 12 mesi l'anno con la partecipazione dei produttori

Il convegno "Interprofessione Pera, un nuovo strumento per la competitività", organizzato venerdì 21 marzo 2014 a Ferrara dall'Organizzazione Interprofessionale (OI) Pera insieme al CSO di Ferrara ha fatto chiarezza sul presente e sulle possibilità di affermazione nei mercati internazionali del comparto delle pere; un segmento ortofrutticolo il cui valore è stimato mediamente in circa 800 milioni di euro.


Da sinistra, Lorenzo Boldrini, Marco Salvi, Davide Vernocchi, Tiberio Rabboni, il moderatore Carlo Alberto Roncarati, Gianni Amidei, Fabio Galli ed Elisa Macchi.

I pro (su cosa possiamo contare)
Nei dati presentati dal direttore del Cso, Elisa Macchi, l'Italia spicca come primo paese produttore di pere dell'Unione europea - con 725.533 tonnellate prodotte nel 2013, il 12% in più rispetto all'anno precedente (che aveva raggiunto i minimi storici), e il 10% in meno rispetto alla media del quadriennio 2008-2011. Le varietà Abate Fetel, William e Kaiser rappresentano il 75% del totale.



In particolare l'offerta di Abate - con 300.000 ton, pari al 36% della produzione nazionale - è quella, insieme a Conference e Rocha, che dal 2000 ad oggi in Europa è aumentata in modo costante.

Sul mercato tedesco, primo importatore di prodotto italiano, la pera Abate è l'unica a mostrare un trend di crescita rispetto alla sostanziale stabilità di altre varietà in arrivo da paesi concorrenti.


Fabio Galli, coordinatore attività sperimentali della Fondazione Fratelli Navarra, ente molto attivo nella sperimentazione in campo sul pero, con Elisa Macchi.

Da pochi giorni, inoltre, l'Unione europea ha riconosciuto l'operatività dell'OI Pera, uno strumento fondamentale per condividere regole e strategie per il rilancio del comparto.

I contro (cosa dobbiamo correggere)
Nonostante l'Italia rappresenti il principale produttore nel panorama europeo (circa il 30% dell'offerta annuale), è solo il terzo esportatore. Belgio e Olanda, infatti, movimentano volumi nettamente superiori - anche grazie alle re-esportazioni - e recentemente stanno aumentando anche le spedizioni di pere Rocha portoghesi.



Rispetto alla produzione, quindi, la nostra quota di export di pere resta molto contenuta. Il presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, ha chiarito: "Le esportazioni italiane di pere sono leggermente aumentate passando dalle 130.000 ton dei primi anni 2000 alle 140.000 del 2012/13. Malgrado ciò, l'export si ferma al 22% della produzione, valore molto basso se paragonato a mele e kiwi che segnano, rispettivamente, un rapporto pari al 50% e al 70%".


A sinistra, Lorenzo Boldrini, presidente Cia provinciale, che ha dato piena disponibilità a rafforzare l'OI attraverso le organizzazioni agricole professionali. Al suo fianco Marco Salvi e Davide Vernocchi.

C'è la necessità di trovare nuovi mercati per le pere italiane, anche se spesso le barriere fitosanitarie sono finte misure protezionistiche e i tempi e le procedure per arrivare all'apertura di nuovi mercati sono estremamente lunghi e farraginosi (in media dai 7 ai 10 anni).

Come se non bastasse, il comparto si trova a competere, soffrendo, con altri paesi comunitari produttori per la mancata armonizzazione dei prodotti fitosanitari. Lo ha spiegato il presidente di Apoconerpo, Davide Vernocchi, citando il divieto all'uso di etossicchina che, nel solo 2013, avrebbe procurato danni al settore per circa 60 milioni di euro.

Nel caso specifico dell'Abate, risultano danneggiate 36.000 ton di pere, per una perdita di quasi 29 milioni di euro. Proprio per la gestione di tali problematiche, a fine aprile è previsto a Roma un incontro del Gruppo misto Italia-Francia-Spagna.

Elisa Macchi ha anche evidenziato come a livello nazionale non esistano statistiche ufficiali utili ad analizzare il comparto. Si utilizzano i dati catastali delle OP, non sempre rappresentativi, integrati con analisi campionarie nelle principali aree di coltivazione, mentre servirebbe un Catasto generale della coltura.

Altra nota dolente, i consumi. Rispetto ai primi anni 2000, gli acquisti di pere sono scesi da oltre 450.000 ton a meno di 320.000, con una contrazione del 30% in poco più di 10 anni. Tendenza negativa che non sembra arrestarsi, visto che pure il 2013 segna un -9% sul 2012.


Roncarati e Amidei.

La carta vincente dell'OI Pera (come farla funzionare al meglio)
Conoscere la produzione e il mercato nazionale ed estero, per orientare la programmazione dei nuovi impianti e pianificare l'offerta; fare pressione in Europa per armonizzare l'uso dei fitofarmaci tra tutti i Paesi produttori; promuovere i consumi sia sul mercato nazionale che esterosono solo alcune delle azioni che potrebbero essere svolte con successo dall'OI, la quale associa al suo interno tutte le componenti della filiera, dalla produzione alla Grande distribuzione organizzata.

Ma, per riuscirci, ha ricordato il presidente Gianni Amidei, "l'OI deve raggiungere il 60% della rappresentatività per poter dettare regole di produzione e di commercializzazione percepibili da tutta la filiera. Una grande opportunità, questa, per dare competitività all'intero settore, che deve muoversi insieme".


Rabboni, Roncarati e Amidei.

L'Emilia-Romagna - leader nazionale con il 65% della produzione e un'offerta varietale che oltre ad Abate vede crescere Carmen e mantenersi costanti William e Kaiser - sta attivandosi nell'ambito del nuovo Psr con importanti novità a sostegno delle Interprofessioni. Secondo quanto riferito dall'assessore regionale all'Agricoltura Tiberio Rabboni, l'OI potrà ricevere finanziamenti direttamente dal Programma di sviluppo rurale e potrà farsi promotrice di gruppi operativi per la ricerca e l'innovazione. Aderendo all'OI, anche i singoli produttori non associati in Organizzazioni di produttori avranno un incremento di punteggio nella valutazione dei progetti presentati.

Con queste premesse, se l'OI funziona con la partecipazione da parte dei produttori e una maggiore aggregazione dell'offerta, il rafforzamento del settore passerà necessariamente dalla valorizzazione del nostro prodotto 12 mesi l'anno, anche grazie a collaborazioni con i paesi produttori dell'emisfero sud. Così l'Abate Fetel potrebbe davvero diventare un'eccellenza a livello mondiale.

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