
FreshPlaza ha raggiunto uno dei relatori, Stefano Lugli del Dipartimento di colture arboree dell’Università di Bologna, per un resoconto del convegno.
Nel suo intervento, Lugli ha evidenziato come il ciliegio stia indirizzandosi sempre più verso sistemi specializzati ad alta (HDP) o altissima (VHDP) densità di impianto, dovendo tuttavia far fronte ad alcuni limiti fisiologici e agronomici che ne hanno condizionato i tempi di realizzazione, quali: la naturale tendenza degli alberi di ciliegio a raggiungere grandi dimensioni, la spiccata acrotonia delle piante, l’habitus dell’albero tendenzialmente assurgente e la ridotta capacità di ramificare lateralmente tipica della maggior parte delle varietà di ciliegio, il lungo periodo improduttivo iniziale, l’indisponibilità di portinnesti nanizzanti "universali" (come ad esempio i cloni di M9 per il melo) facilmente adattabili alle diverse condizioni climatiche e colturali.
Nonostante ciò, il ciliegio si orienta verso modelli di impianto a densità sempre maggiori, con combinazioni variabili in base al portinnesto e alla forma di allevamento adottata.

Nella foto un impianto ad alta densità HDP: 800-1.200 alberi/ha.
Secondo Lugli, occorre fare molta attenzione in queste scelte. In generale, i frutticoltori sono portati ad apprezzare i vantaggi dell’alta densità – perché immediati – e a sottovalutarne gli svantaggi, che arriveranno invece più tardi, e che possono essere evitati solo se il futticoltore, esperto, ne ha conoscenza.
"La chiave di volta verso densità alte – dice Lugli - sta nella scelta del portinnesto. Tra i portinnesti oggi proponibili per densità di impianto elevate sono stati illustrati i cloni seminanizzanti PHL-A e PIKU 1 e, tra i nanizzanti, i cloni della serie Gisela 6 e 5" (vedi diapositiva sottostante).

"Un altro aspetto da non trascurare – prosegue Lugli - è quello della scelta varietale legata all’HDP e VHDP. Occorre evitare varietà molto fertili in combinazione con portinnesti nanizzanti, così come non sono proponibili varietà di bassa fertilità con portinnesti vigorosi e sesti larghi, e privilegiare un buon equilibrio vegeto-produttivo del ceraseto, fin dai primi anni dall’impianto".

Rese produttive di impianti VHDP di Kordia e Ferrovia, su Gisela 5.
Passando ai risultati ottenuti dalle sperimentazioni condotte dal DCA di Bologna, Lugli ha evidenziato come: "Con 1.000 piante/ha si possono raggiungere produzioni interessanti, intorno alle 15-20 ton/ha, sia con varietà autofertili, es. Lapins, che con le altre varietà, come Regina. Queste ultime, solo con soggetti nanizzanti. I livelli qualitativi risultano però influenzati, negativamente, da questi portinnesti".
"Decisamente più interessanti i risultati esposti per l’altissima densità, fino a 5.000 piante/ha, con Gisela 5: messa a frutto già al secondo anno e rese produttive intorno alle 10-15 ton/ha (vedi diapositiva sopra), insieme a una elevatissima qualità dei frutti (vedidiapositiva sotto). Circa le risposte varietali, molto meglio il comportamento registrato con Ferrovia rispetto a Kordia".

Le percentuali di frutti superiori ai 28 mm di calibro per le cv Kordia e Ferrovia.
Durante l’incontro di Zevio, Michele Giori di Salvi Vivai ha evidenziato i risultati ottenuti negli impianti superfitti nel ferrarese e i primi tentativi di realizzo di ceraseti a VHDP nel veronese. Giori ha rimarcato l’importanza e le esigenze idriche e nutrizionali del portinnesto nanizzante Gisela 5 (nella foto sotto), l’unico adatto a simili tipologie di impianto. Anche la scelta della varietà è fondamentale. Servono varietà di buon vigore, capaci di ramificare lateralmente, di produrre per lo più su gemme a fiore inserite alla base dei rami di un anno (e non sui mazzetti di maggio) e in grado di produrre già al secondo-terzo anno. La qualità viene raggiunta grazie alla tecnica di potatura che prevede corte speronature annuali e periodico rinnovo dei rami laterali negli anni.

Gino Bassi dell'Istituto sperimentale della Provincia di Verona ha infine illustrato l'esperienza di un decennio di osservazioni sugli impianti fitti HDP realizzati nel veronese, fornendo interessanti indicazioni sui diversi sistemi di impianto e le tecniche di potatura adottate.
Bassi ha concluso ricordando come in questo ultimo decennio la cerasicoltura veneta abbia avuto una forte contrazione delle superficie e delle produzioni, soprattutto nel veronese, da dove derivano circa i due terzi del prodotto regionale. I motivi sono diversi, legati alla bassa redditività della coltura e alla preferenza della vite da vino fino ad altitudini anche superiori ai 500 metri. Parallelamente, si è assistito a una ripresa, contenuta ma significativa, della coltivazione del ciliegio in areali di pianura, irrigui, anche in alternativa al melo e al pesco, grazie all'impiego di portinnesti nanizzanti che hanno permesso di costituire impianti fitti specializzati.