Il fenomeno è considerato prioritario dalla Fondazione Mach che, in collaborazione con l’Ufficio fitosanitario della Provincia autonoma di Trento, si è attivato su tre fronti: consulenza, sperimentazione e ricerca, creando sinergie anche fuori Trentino. Introdotto dal dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico, Michele Pontalti, il seminario ha visto intervenire tecnici, sperimentatori e ricercatori di San Michele unitamente agli esperti di altri territori colpiti dalla stessa problematica, in particolare Alto Adige, Valtellina e Piemonte.
La moria del melo
Chiamata anche "deperimento" o "sindrome da stress", molto probabilmente è determinata da fattori climatici, agronomici e parassitari le cui interazioni nel determinare il fenomeno non sono ancora chiari. I sintomi quella sono quelli tipici dei danni da freddo che si evidenziano a fine inverno con spaccature della corteccia sul fusto e fuoriuscita di linfa; in queste crepe si insediano funghi, batteri e insetti del legno che portano ad un veloce deperimento della pianta.
La moria ha colpito oltre ai giovani impianti, anche quelli in piena produzione, con una casistica che varia sicuramente in funzione dell’età delle piante, della varietà, della zona e del terreno. Colpite soprattutto, la Valsugana, la val di Non e le valli Giudicarie. La varietà più interessata è risultata la Renetta Canada, seguita da Gala, Golden Delicious, Red Delicious e, in misura minore, da Fuji. Sulle possibili cause si sono fatte diverse osservazioni: non adeguata preparazione del terreno, terreni leggeri, esposizione del frutteto a sud o a est, giovani piante che hanno prodotto eccessivamente nella stagione precedente, piante in sofferenza da più anni.
Consulenza, sperimentazione e ricerca
Le attività dell’Istituto Agrario contro il problema moria coinvolgono le Unità frutticoltura, agricoltura sostenibile e fitoiatria del Centro Trasferimento Tecnologico e il Dipartimento agroecosistemi sostenibili e biorisorse del Centro ricerca e innovazione.
Sul fronte consulenza l’Unità frutticoltura sta monitorando tutte le zone frutticole dai mesi invernali alla raccolta, con l’obiettivo di individuare i sintomi in rapporto alle varietà e controllare la loro evoluzione. Sta studiando inoltre il rapporto tra comparsa dei sintomi e terreno, condizioni climatiche (gelate, temperatura, umidità), varietà, lavorazioni del terreno, tipologia di piante e portinnesti.
Sul fronte sperimentazione l’Unità fitoiatria ha realizzato un campionamento delle piante sintomatiche per poter effettuare indagini microbiologiche e molecolari in grado di caratterizzare eventuali agenti causali. Sono state impostate inoltre alcune prove di difesa in frutteti con prodotti a base di rame, agenti di biocontrollo e altri composti; altre indagini di campo e laboratorio riguardano gli scolitidi associati alla malattia. L’unità agricoltura sostenibile, inoltre, sta conducendo esperienze di tipo agronomico (momento di impianto, concimazione, stanchezza del terreno) per verificare l’eventuale interferenza di certe pratiche con l’insorgenza della malattia.
La ricerca di San Michele, nell’ambito del progetto Envirochange, sta concentrando l’attenzione sull’effetto della componente climatica sull’insorgenza della moria del melo quando sono presenti agenti patogeni considerati generalmente secondari o che agiscono in condizioni d’indebolimento delle piante. Tra questi patogeni in particolare sono stati scelti alcuni agenti di cancri rameali come Phomopsis spp. L’obiettivo è verificare il livello di virulenza di questi patogeni nei confronti del melo in presenza di stress idrici e termici e ferite e si valuta anche l’effetto preventivo di un biofungicida a base di Trichoderma atroviride SC1, brevettato dalla Fondazione Mach ed in corso di registrazione contro le malattie del legno della vite.
Le indicazioni tecniche
All’incontro di ieri gli esperti di San Michele hanno raccomandato ai frutticoltori di applicare sempre le buone pratiche agronomiche in ogni momento della vita dell'impianto. Per contenere la moria è infatti importante prevenire tutte le cause che possono provocare stress alla pianta.
In particolare al reimpianto è necessario effettuare lavorazioni superficiali del terreno, apportare sostanza organica, compiere la baulatura e favorire l’attecchimento della pianta. Nei primi anni di impianto limitare la produzione per consentire l’accrescimento della pianta. Sul fusto eseguire l’imbiancatura con prodotti specifici per ridurre gli sbalzi termici a fine inverno. Per prevenire la penetrazione di funghi e batteri da eventuali lesioni sul fusto intervenire in maniera localizzata con prodotti rameici. Importanti sono anche il contenimento del bostrico con trappole ad alcool, la riduzione del compattamento del terreno e la rimozione del ristagno di acqua.