Che la programmazione tra retail e mondo produttivo ortofrutticolo sia non solo auspicabile, ma necessaria, per rendere il rapporto tra le parti produttivo, sano e sostenibile è cosa ormai scontata. Ma richiamarla ciclicamente alla pubblica attenzione nei momenti di contrazione dei consumi o di esubero dell'offerta risulta stucchevolmente demagogico, se le medesime invocazioni non vengono sollevate pariteticamente nei momenti di carenza di prodotto e lievitazione sproporzionata dei prezzi.
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Del resto, anche la miglior programmazione possibile poco riesce a fare contro il fato agricolo avverso e funesto che spesso caratterizza i cicli di raccolta. La sovrapposizione dei trapianti o lo scollegamento degli stessi, il rallentamento dei consumi a causa della inevitabile meteopatia di molti prodotti e a quella stagionalità che ne caratterizza l'acquistato, sono fattori che inevitabilmente remano contro la regolarità e che causano malumori sia lato produttori sia lato buyer.
Ovvio che aver stretto un accordo preliminare di massima in primis sulle cultivar da mettere a dimora nei campi e, come spesso avviene, aver confermato come base di riferimento il ritirato dell'anno precedente, di solito incrementato al minimo della percentuale di crescita prevista dalla programmazione delle nuove aperture, pone le basi minime per andare a piantumare senza l'alea di dover improvvisare gli sbocchi commerciali, scongiurando la ricerca del cliente salvifico last minute.
Allo stesso tempo reputo corretto che il retail si faccia carico dei momenti di sovrapproduzione inattesi, per facilitare le rotazione del prodotto, accelerandone le uscite con una corretta gestione del taglio prezzo sia in acquisto sia in vendita, ma con l'accortezza che il tutto non si traduca in una mera contrazione del margine di operativo. E se la fedeltà è la base di un rapporto duraturo, sarebbe opportuno non lasciarsi ammaliare dal canto delle sirene ricco di tagli prezzo vertiginosi provenienti dal mare increspato della over-produzione, pur non potendolo ignorare del tutto, almeno in fase di chiusura dei listini.
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Tutti ragionamenti corretti, eticamente ineccepibili ma pericolosamente destinati a sgretolarsi di fronte al malaugurato momento in cui la rincorsa sarà al prodotto introvabile, scomparso d'incanto dai campi, in barba a quelle programmazioni che dovrebbero garantire continuità di volumi e livellamento dei prezzi. Chi è esente da speculazioni per over offerta o penuria di merce, scagli la prima pietra verso il buyer meretricio!
E tu, operatore agricolo, potresti giurare, o spergiurare, di aver offerto il tuo prezzo follemente ribassato in primis al cliente fidelizzato e programmatico, piuttosto che all'operatore di mercato casuale per evitare di inficiare l'immagine di limpidezza dei tuoi listini continuativi?
Come si può vedere, sembrerebbe che il requisito fondamentale sia a questo punto più soggettivo che oggettivo: nulla può sostituire valori basici come la fiducia e la correttezza, sempre vincenti rispetto alla più certosina delle programmazioni, pronta a sgretolarsi al primo accenno di discontinuità.
I castelli di sabbia, come risaputo, reggono fino a quando non piove.
Giancarlo Amitrano
Esperto retail
(Rubrica num. 80)