Durante le rare cene familiari con presenze a squadra completa, io e i miei figli siamo soliti pungolare mia moglie Assunta additandola come tuttologa e, a seconda delle circostanze, medico, ricercatrice, virologa, politologa, ingegnere, architetto, economista e chi più ne ha più ne metta. Tra i vari ruoli reclamati, ovviamente per genoma familiare, figura anche quello di agricoltore, agronomo ed esperto varietale. Eppure, in nessuna delle sue elucubrazioni, per la verità, oltre che per sopravvivenza coniugale, spesso e volentieri con fondamenta solide e inconfutabili, mai si sognerebbe di paragonare le susine o le ciliegie dei suoi alberelli di famiglia a quelle esposte in un supermercato, se non per sottolineare il sapore genuino e oltremodo zuccherino che lascia il frutto sovra-maturo gustato alla raccolta e per l'effetto rimembranza dei bei tempi che furono, che sono e che saranno.
© Cristiano Riciputi | FreshPlaza.it
Non conta la forma, il calibro, la punta di grandine, la lesione da vento o da beccata d'uccello, perché il tutto inizia e finisce nel consumo emotivo, dove il valore non è commerciale ma dipende esclusivamente dalla soddisfazione dell'anima.
Pare, però, che la netta scissione tra prodotto 'nature' e prodotto destinato alla pubblica vendita non sia a tutti ben chiara, anzi; è talmente sconosciuta, da costituire il fondamento delle ricorrenti encicliche di scomunica verso la GDO, proprio sui valori dichiarati ingiustificatamente diversi.
E senza voler sindacare i curricula che più o meno potrebbero o dovrebbero far meritare a questi novelli Savonarola l'appellativo di esperto ortofrutticolo honoris causa, fanno esondare il proprio ego nella demagogia più pura, quella pregna di inconsistenti ovvietà e banali incongruenze, arrivando a paragonare buyer e GDO agli spacciatori di cocaina. Ma se le sostanze stupefacenti de quibus, frutta o verdura che siano, non sono vietate né alla vendita né al consumo, come evidentemente risaputo dai più…, il paragone sembrerebbe nascere non dal valore inappropriatamente sconsiderato, tipico dei beni soggetti a proibizionismo, ma dal metodo malavitoso che lo permeerebbe.
E a nulla sono valse le rimostranze di alcune frange del settore retail volte a sottolineare come i costi della filiera ortofrutticola siano densi di voci che, a vario titolo, li costruiscono: le analisi multiresiduali, la logistica, gli scarti dal grezzo, la lavorazione, gli imballi, i Cedi, i pdv, il personale, le differenze inventariali, etc. etc..
© Cristiano Riciputi | FreshPlaza.itGiancarlo Amitrano
Però il punto della questione non era giustificare la diversità dei costi, quanto giustificare l'accostamento di un intero settore alle attività di Pablo Escobar.
Il popolo agricolo, sfruttato e malversato per produrre il prodotto destinato allo spaccio, le aziende commerciali dedite a piazzare la merce nelle zone di pertinenza, i pdv impegnati a svendere le dosi alla clientela vogliosa di sballo o in crisi di astinenza.
Ecco, a me di tutta questa polemica non rimane tanto la profonda ignorantia del sistema agricolo, che sarebbe anche giustificabile, quanto la spregevole attitudine a fare demagogia, solleticando dubbi non sul come, ma sul perché.
La domanda a questo punto da porsi è come mai nessuno abbia alzato gli scudi per difendere la categoria ma solo brandito le spade per giustificare le differenze di valore dei prodotti imputati.
Lascio a voi lettori l'ardua sentenza e a me il compito di arginare l'ira della pelide Assunta...!
Giancarlo Amitrano
responsabile ufficio acquisti ortofrutta
catena Cedigros
(Rubrica num. 72)