Il dibattito sui rapporti fra fornitori e Gdo continua, con toni costruttivi e in tutta sincerità fra gli interlocutori. Il buyer Giancarlo Amitrano risponde qui all'avvocato Gualtiero Roveda (cfr. Freshplaza del 17/07/2025). Ricordiamo che il dibattito è aperto a interventi, in maniera costruttiva, da parte di tutti gli operatori della filiera scrivendo a: info@freshplaza.it.
Riportiamo per comodità le domande poste dall'avvocato Roveda al mondo della Gdo.
È destino che queste vacanze vedano il piacere di scrivere in prima fila tra le attività di recupero mentale programmate, e non potevo esimermi dal rispondere all'avvocato Roveda, sia perché la tipologia delle domande denota una conoscenza del mondo retail tale da renderlo buyer honoris causa, sia perché, essendo io un avvocato mancato, mi si ripropone la possibilità di esserlo pro domo mea!
Devo considerare vero che il governo Monti, poi l'Unione Europea e infine il legislatore italiano siano dovuti intervenire per arginare gli effetti distorsivi del buyer power nella filiera agroalimentare?
Il legislatore italiano ha di fatto recepito in forma allargato una normativa europea e, premesso che non poteva esimersi dal farlo, dubito che di sua sponte avrebbe partorita una serie di norme così dirette e puntuali.
Devo considerare vero che i danni economici causati dal buyer power, che hanno indotto l'UE a intervenire, siano stati stimati in almeno 350 milioni di euro all'anno solo in Italia?
Non ho conoscenza dell'indotto monetario derivante dal buyer power in Italia, ma se lo intendiamo come cifra derivante dall'effetto ristorni, credo sia presumibilmente bassa come stima quella dei 350 mln. Il vero problema è però nella sua interpretazione: danno economico o beneficio economico? Ovviamente propendo per la seconda e, in particolare, se penso ai volumi extra aggiuntivi e al fatturato crescente che genera nei fornitori che sottoscrivono clausole di extra pfa.
© Cristiano Riciputi | FreshPlaza.it
Devo considerare vero che, secondo ISMEA, solo 7 euro su 100 della spesa alimentare arrivano nelle tasche degli agricoltori?
Il rapporto 7 a 100, dove 100 è il valore di passaggio cassa del prodotto, non lo reputo essere corretto. Ovviamente lo stesso varia a seconda della lunghezza della filiera di cessione del bene, con valori superiori laddove il rapporto sia diretto con l'azienda agricola, e a calare dove lo stesso avvenga tramite OP, Cooperativa, mediatore, commerciante, etc.
Devo considerare vero che in Emilia-Romagna abbiamo perso il 70% delle superfici coltivate e il 69% della produzione, e che in Veneto le percentuali siano persino peggiori (73% e 62%)?
La dismissione delle attività agricole in Emilia Romagna e in Veneto ha raggiunto quote percentuali preoccupanti pur se, in generale, tutto il comparto nazionale vede comunque un dato negativo. Ma, pur sapendo di sollecitare la sua obiezione, è un andamento avulso dal problema ristorni e che vede le sue radici in cicliche annate di assenza di produzione (vedasi pere) e nella perdita di fiducia in un sistema economico che basa la sua remuneratività sull'alea del meteo.
Devo considerare vero che, secondo un'indagine di Agri 2000 Net, ci sarebbero fino a 30.000 aziende agricole a rischio chiusura nella sola Emilia-Romagna?
Ho più volte espresso il seguente pensiero: tutti o quasi possono ipotizzare di produrre, ma non è dato a tutti vendere; premesso ciò ci sono sicuramente moltissime aziende in procinto di chiusura per assenza di sbocchi commerciali. Che esista poi una percentuale che potrebbe chiudere per realizzi inferiori ai costi di produzione non lo posso escludere, ma così come non lo escluderei per il mondo della ristorazione, ad esempio.
Devo considerare vero che la causa principale di questi dati drammatici sarebbe l'impossibilità, per molte imprese agricole, di spuntare prezzi sostenibili, tanto da indurle all'espianto?
La presenza di quote % pfa è sicuramente presente nella gran parte dei contratti nazionali di fornitura, pur se con voci giustificative che variano da insegna ad insegna. Non generalizzerei il fatto che molti fornitori sarebbero propensi a eliminarle, specie per quanto riguarda le voci legate alla numerica dei momenti promozionali ed ai nuovi inserimenti.
Devo considerare vero che la pratica dei ristorni sia ampiamente diffusa, e che i fornitori – se potessero – farebbero volentieri a meno di contribuire a spese per volantini, pubblicità, logistica e aperture di nuovi punti vendita?
Il valore % è un valore perfettamente calcolabile, indipendentemente da quanto sia alto, per cui in assoluto non c'è limite allo stesso, anche se oltre certi livelli diventa complicato per entrambe le parti gestire la costruzione del prezzo, in particolare di vendita. Il net net personalmente lo ritengo il metodo migliore, ma solo se si ha la piena visione del valore di campo e di mercato in virtù del fatto che azzera o quasi i margini di errore del buyer.
Devo considerare vero che la pratica dei ristorni sia ampiamente diffusa, e che i fornitori – se potessero – farebbero volentieri a meno di contribuire a spese per volantini, pubblicità, logistica e aperture di nuovi punti vendita?
In assoluto il sistema si regge sugli accordi tra le parti e i prezzi seguono la logica del mercato con l'obiettivo di renderli sempre e comunque trasversali a tutte le linee di fornitura; le percentuali di scarto sono un dato ininfluente per il fornitore, ma contribuiscono solo a costruire correttamente il margine cassa; le consegne avvengono negli orari consoni a permettere lo smistamento dei colli e la consegna degli stessi presso i pdv in prima mattinata, o comunque prima dell'apertura. Non si può ritenere penalizzante un fattore caratterizzante la fornitura di default. Quanto ai resi, gli stessi avvengono immancabilmente, e aggiungerei correttamente, nei casi in cui la fornitura non rispetti i parametri richiesti e concordati preventivamente tra le parti, tramite la condivisione delle schede tecniche. Ovviamente si può intervenire con delle deroghe in particolari circostanze produttive, ma in assoluto la marcescenza e le difettosità scaturenti nell'invendibilità non sono derogabili.
Devo considerare vero che il sistema si regga su sconti imposti, percentuali di scarto fissate unilateralmente, trattative online al ribasso, consegne in orari penalizzanti, verifiche che possono rimandare indietro intere partite per difetti marginali?
La formula base è: vale il prezzo concordato, con la premessa che ove non sia ritenuto congruo si può alzare il braccio e sospendere le consegne; esiste sempre e comunque la libertà di scelta. Ovvio che, se durante un volantino in partenza o in corso d'opera il mercato cambia radicalmente, il fornitore deve ottemperare al prezzo convenuto, sostenendo la difficoltà nel reciproco gioco della parti.
Devo considerare vero che la formula "lo sconto non si discute" sia una regola di fatto?
Lo sconto nella norma si traduce sempre in un ribasso del PV; ciò che avviene spesso è non considerare appieno le % di pfa nella costruzione del prezzo.
Devo considerare vero che, in genere, gli sconti praticati dai buyer non si traducano in prezzi più bassi per i consumatori, ma rappresentino un margine aggiuntivo per la distribuzione?
Il prezzo è sempre lordo dei costi, sia lato fornitore che lato retail; nel senso che il PV a banco comprende necessariamente i costi di movimentazione logistica, di trasporto, gli sfridi.
Devo considerare vero che, se una pesca si vende a 2 euro al chilo al supermercato, al produttore resti 1 euro lordo, da cui deve sottrarre lavorazione, confezionamento, trasporto, ristorni, e che – quando va bene – gli restino 30 centesimi netti?
Fatico ad immaginare come concorrenti insegne che applichino un ricarico generico del 100% sul prezzo acquisto. La media di margine nazionale per il mondo supermercati si aggira intorno al 30%, mixando promo e no promo; diverso il valore se parliamo di discount.
Devo considerare vero che, anche a prezzo concordato, possa arrivare la chiamata del buyer che annuncia che in Spagna o in Grecia vendono a meno, lasciando intendere che o si accetta il ribasso o si resta fuori dagli scaffali?
Se il mercato cambia, a livello nazionale od europeo, è corretto sondare le linee di fornitura esistenti per ridiscutere i listini; vale in tutti i campi e perché non dovrebbe per l'ortofrutta.
Devo considerare vero che le promozioni – nate per smaltire eccedenze – siano diventate una leva imposta unilateralmente dalla distribuzione, che stabilisce il prezzo promozionale e lascia al fornitore il compito di "starci dentro", anche vendendo sottocosto?
Nella norma il piano promozionale si costruisce inviando ai fornitori le date di sell in – sell out unitamente alla referenza papabile, solitamente per stagionalità e valenza di vendita. Il fornitore risponde indicando la copertura o meno dei volumi necessari ed il prezzo ipotizzabile, o, se già ipotizzato dal buyer, la sua sostenibilità o meno. La forzatura avviene a volte nel caso in cui solo 1 linea di fornitura fra tante non sia allineata al prezzo generalmente chiuso. Il sottocosto è un'ipotesi commerciale non sempre abominevole: nei rapporti di fornitura continuativi è facilmente programmabile ed ammortizzabile sul lungo periodo se preventivamente concordato.
Devo considerare vero che spesso i fornitori non possano nemmeno scegliere i propri imballaggi e debbano rivolgersi a ditte indicate dall'insegna – anche se più care – e che parte di quei costi, a detta di molti, finisca direttamente o indirettamente nelle casse della GDO?
La gestione del flusso casse tramite tipologie di circuito "imposto" dal retail è ormai cosa diffusa e porta solo benefici a tutta la filiera, oltre a giovare alla sostenibilità della stessa. Si pensi in primis alla facilità di handling e pallettizzazione derivante dalla possibilità di impilare casse perfettamente sovrapponibili, il tutto con un'omogeneità espositiva sui banchi. Ovvio che trattare svariati milioni di imballi a flusso annuale, con evidenti vantaggi logistici, possa portare a prevedere anche dei vantaggi economici, ma rimane il fatto che il prezzo di box-renting per il fornitore è quasi sempre migliorativo rispetto agli imballi nuovi a rendere. E questo è un dato di fatto oggettivamente riscontrabile.
risposte a cura di Giancarlo Amitrano, buyer