"La ricerca è la base dello sviluppo e della competitività di un Paese e va sostenuta ai livelli più elevati". Lo afferma Antonino Catara, già Professore di Patologia vegetale e Delegato alla Ricerca all'Università di Catania, oggi tutor scientifico della start-up Agrobiotech.
Antonino Catara
"Sono convinto - prosegue - che il rilancio della limonicoltura passi attraverso i risultati di ricerche e monitoraggi sviluppati nell'ultimo decennio in laboratori di varie Università e del Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia. L'esperienza di tanti Paesi agrumicoli dimostra che il rilancio di filiere afflitte da rilevanti problemi fitopatologici necessita interventi bioagronomici e fitosanitari integrati".
"In tal senso sono prioritari:
- la riduzione delle fonti di inoculo
- l'impiego di varietà/cloni meno suscettibili alle fitopatie target
- la corretta esecuzione di programmi di certificazione genetica e sanitaria
- la protezione passiva dagli eventi favorevoli all'insediamento dei patogeni target
- l'adozione di impianti a densità più elevata attraverso portainnesti adeguati".
Cinque mosse che, secondo il ricercatore, in tempi brevi potrebbero attenuare/rimuovere molti dei fattori che attualmente mortificano la limonicoltura siciliana. Monitoraggi eseguiti da Agrobiotech in questi giorni in territorio di Siracusa, con il supporto di imprenditori, del Servizio di Assistenza tecnica e del Servizio Fitosanitario Regionale e di agronomi esperti del territorio, sempre secondo lo studioso, "mettono in evidenza casi di contaminazione dei terreni da propaguli di Plenodomus tracheiphilus, fungo responsabile del mal secco. Con valori maggiormente elevati in prossimità dei limoneti abbandonati, che avrebbero dovuto già essere estirpati ai sensi del D.M. del 1998. Molti di tali propaguli sono vitali, nonostante le temperature elevate di giugno e luglio. Cosa succederà dopo le prime piogge? Quale è effettivamente il loro ruolo nell'esplosione della malattia? Quali interventi mettere in atto?"
"Bisognerà al tempo stesso scoraggiare l'impiego di cloni di limone nucellari - prosegue Catara - notoriamente più suscettibili al mal secco, e portinnesti molto vigorosi. Una combinazione che esalta la suscettibilità al patogeno. Bisognerà in futuro orientarsi verso altri portainnesti che consentano adeguati sistemi di protezione (coperture e frangiventi)? E' poi prioritario allestire un numero sufficiente di piante madri certificate, esenti da infezioni di Plenodomus tracheiphilus viroidi e virus, utilizzando i metodi molecolari oggi disponibili. Al di là dei ben noti danni causati dal mal secco, non è raro il caso di piante deperienti innestate su portainnesto macrophylla, altamente suscettibile al viroide della cachessia e a CTV. Solo con materiale di propagazione esente da infezioni sarà possibile esplorare l'ampia gamma di portainnesti oggi disponibile".
"Prospettive interessanti presentano invece gli impianti ad alta densità e le coperture con reti che, una volta abbandonati i portainnesti molto vigorosi. Una protezione adeguata potrebbe ottenersi anche con barriere frangivento".
"Credo che questi cinque punti debbano essere attuati con urgenza - conclude l'esperto - Cinque mosse risolutive per dare scacco matto al mal secco nei nuovi impianti, indispensabile per il rilancio del settore e per rinfrancare i produttori che con professionalità sostengono la sfida con costi di gestione elevati. Nei vecchi impianti, inoltre, andrebbe oggi rivista la potatura, un'arte per troppo tempo tramandata di padre in figlio, che oggi potrebbe avvantaggiarsi delle conoscenze tecniche maturate. Non meno importante è il posizionamento di interventi chimici funzionali al contenimento delle infezioni e della produzione di propaguli, tenendo bene in mente che nessuna malattia vascolare di piante arboree è stata mai sconfitta. Ma molte sono adeguatamente gestite con i mezzi tecnici a disposizione al momento, e vengono progressivamente adattati allorché i prodotti delle nuove tecnologie lo consentono".