
Così ha aperto l'incontro il Prof. Gabriele Beccaro del Disafa, che ha moderato l'incontro supportato dalla collega Dr. Gabriella Mellano, entrambi referenti del Centro Regionale Castanicoltura (cfr. FreshPlaza del 29/09/2016).
In rappresentanza dell'amministrazione locale, l'Assessore Paola Olivero ha sottolineato l'importanza dell'incontro durante la fiera: "Quest'anno abbiamo voluto condividere con il Disafa il tema della castanicoltura e soprattutto oggi questi castanicoltori sono la testimonianza di giovani che credono nella montagna e pensano che possa diventare una risorsa di lavoro."
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Il Direttore del Disafa, Ivo Zoccarato, ha evidenziato quanto il Disafa e il territorio piemontese si stiano internazionalizzando raccontando che solo una settimana fa una delegazione di ricercatori cinesi si è recata in visita agli impianti di castagno per condividere informazioni e conoscenze. "Ormai siamo sempre più noti e riconosciuti per le nostre produzioni agrarie."
L'incontro è nato dall'esigenza di dare voce direttamente a giovani castanicoltori che spiegassero quali sono le difficoltà riscontrate nella filiera della castagna - continua Beccaro - In Europa, l'Italia è il primo Paese produttore di castagne ma è anche il Paese con l'età media dei castanicoltori più alta (= 52 anni). Non solo è il Paese dove investire è difficile, se si pensa ad esempio al vicino Portogallo dove i produttori hanno mediamente 42 anni e si sono investiti 15mila ettari per nuovi impianti.
Federico Vinai di Mondovì, Roberto Ansaldi di Boves e i coniugi Flavio Baudena e Silvana Giordano di Chiusa Pesio sono stati i protagonisti della mattinata.

Federico Vinai, castanicoltore di 24 anni, si è insediato con il PSR e insieme alla famiglia gestisce una decina di ettari nella zona di Mondovì e Monastero Vasco.

Roberto Ansaldi 29 anni gestisce un ettaro di castagno ma lavora soprattutto come potatore di castagno in tree climbing da novembre a maggio.

I coniugi Baudena hanno un'azienda ortofrutticola e gestiscono circa 4 ettari di castagno.
Tutti questi castanicoltori non sono nati agricoltori, ma lo sono diventati per passione e per restare sul territorio dove sono nati.

Le varietà principalmente coltivate sono il marrone di Chiusa Pesio, Garrone rosso, Garrone nero, Gentile, Ciapastra, Gabbana e ibrido euro-giapponese Bouche de Bétizac.
Negli ultimi 4-5 anni, i prezzi sono stati abbastanza buoni, intorno all'euro, rispetto agli anni in cui i castagneti erano infestati dalla vespa Cinipide e le castagne venivano vendute a 20 centesimi al chilo.
Dalla discussione è emerso che non esiste una vera filiera del castagno: fatte le dovute eccezioni, la maggior parte degli operatori sono isolati e non sono inseriti in un contesto strutturato.
Secondo Ansaldi si dovrebbe migliorare la filiera sia per il frutto recuperando varietà tradizionali e promuovendo i prodotti del castagno sia la filiera per il legno, che oggi non è per nulla remunerativo (50 €/ton).
Secondo Vinai, bisognerebbe ridurre il numero di passaggi dal produttore al consumatore finale, in modo tale da evitare eccessivi rincari di prezzo del frutto.

Tutti i presenti concordano nell'importanza di valorizzare e salvaguardare le varietà tradizionali, in quanto è emerso che esistono molti competitor interessati alle varietà locali: dai cinesi, che possiedono superfici estese e forza lavoro a basso costo, interessati a coltivare il marrone di Chiusa Pesio, di cui hanno già chiesto il materiale di propagazione, ai cileni che hanno già investito centinaia di ettari e commercializzano il marrone di Chiusa Pesio sul mercato europeo.
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"L'agricoltura moderna non può prescindere dalla conoscenza e dalla formazione - aggiunge Giancarlo Arneodo, Direttore Agenform Cuneo (nella foto sopra a sinistra) - Nei territori montani si vive solo con la multifunzionalità aziendale. Qualsiasi mestiere passa attraverso la formazione e le filiere non nascono se non si comunica!"
Alberto Valmaggia, Assessore alla Montagna – Regione Piemonte (nella foto qui sopra a destra), ha sottolineato che si sta delineando una legge sull'associazionismo fondiario per il recupero di terreni marginali abbandonati e frazionati in cui si inserisce il tema del castagno.
"Non voglio fare il catastrofico, ma vedo molto critico il futuro del castagno nelle zone montane e pedemontane tradizionali, in cui i cambiamenti climatici in corso stanno rendendo sempre più difficile la gestione di questa coltura." E' quanto dichiara Guido Bassi, vivaista di castagno della zona, il quale ha sottolineato l'importanza di alcuni temi che andrebbero affrontati, dalla gestione del castagneto come frutteto all'impatto del cambiamento climatico sulla coltivazione delle castagne.
"Gli impianti di ibridi non sono una scelta dei vivaisti ma dei produttori e dei loro business. A me non piace chiamare il castagneto bosco, perché il bosco è un entità che si autogestisce e si autosostiene. I castagneti sono nati tutti come frutteti, perché una volta servivano a fare la differenza fra mangiare o morire di fame. Chiamarli boschi significa averli abbandonati, questo è il concetto. Il bosco di castagno non esiste, perché se lo lasci a se stesso subentrano altre specie arboree come betulla e acacia, per cui i castagneti spariscono. Il castagno deve essere quindi gestito come un frutteto moderno in termini di concimazione, potatura, irrigazione e difesa".
Una cosa importante è emersa da questo dibattito: l'approccio all'agricoltura moderna deve avere una base che non è la ripetizione per sfinimento di pratiche colturali portante avanti per 50 anni, bensì nasce dal confronto con gli altri, dalla formazione e dalla conoscenza.