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Alle radici delle amarene: un viaggio nella loro storia

Indigeno dell'Asia minore e, secondo molti, della Penisola Balcanica meridionale, il ciliegio acido (Prunus cerasus) vanta origini che si perdono nel tempo, così come quelle del più noto e diffuso ciliegio dolce (Prunus avium). Plinio afferma che il ciliegio fu importato in Italia da Lucullo, ma il botanico svizzero De Candolle è certo che esistesse ben da prima, compreso il ciliegio acido, i cui frutti si ritiene siano raffigurati negli affreschi di Pompei. Secondo Targioni Tozzetti (1853), probabilmente Lucullo importò qualche nuova varietà, tra cui marasche e visciole: il ciliegio acido all'epoca era giù utilizzato anche come soggetto da innesto.

Dai tempi del famoso militare "gourmand" romano, non si hanno più notizie circa il ciliegio fino al 1400, quando si apprende da un manoscritto anonimo della presenza di diverse tipologie di ciliegie nella campagna fiorentina, incluse le amarene. In quel secolo, e nel seguente, numerosissime sono le rappresentazioni di ciliegie nell'arte pittorica.

Come noto, le ciliegie acide si dividono in tre grandi categorie, in funzione della tipologia dei frutti: le amarene, le visciole e le marasche. E' tuttavia peculiare della specie l'estrema confusione storicamente regnante tra le diverse tipologie, così come testimoniato in alcuni scritti dal botanico Pier Antonio Mattioli a metà del '500 e nei noti "Giornali dei viaggi" di Giorgio Gallesio nella prima metà dell'800.



Oltre al consumo fresco, decisamente limitato rispetto alle ciliegie dolci, sia per il sapore aspro del frutto, sia per la limitata conservabilità dello stesso, le ciliegie acide si prestano, con diversa attitudine in funzione della varietà, a numerose preparazioni. Tra queste si può citare l'inscatolamento, il surgelamento, l'essiccazione, la distillazione, la produzione di succhi e nettari, nonché soprattutto quella di marmellate, confetture e gelatine. Di confettura di ciliegie acide parla già Bartolomeo Stefani in un libro di cucina del 1662, ed anche l'Artusi, nel suo noto ricettario, spiega come preparare la confettura di amarene.

La coltivazione del ciliegio acido è oggi concentrata in pochi areali, tra i quali il primo in ordine di importanza è certamente quello riconducibile all'Est Europa. Russia, Ucraina, Polonia, Serbia e Ungheria raggruppano, nel complesso, il 55% circa delle superfici coltivate e della produzione mondiale. Al di fuori dell'Europa orientale, altri importanti bacini produttivi si trovano in Turchia, Stati Uniti ed Iran che, complessivamente, rappresentano poco oltre il 30% dell'offerta mondiale.

Nel contesto della frutticoltura italiana, il ciliegio acido è una specie minore attorno alla quale, tuttavia, si sta muovendo un rinnovato interesse, anche alla luce del quadro di perdurante difficoltà registrato dalla maggior parte delle principali referenze frutticole, che spinge alla ricerca di soluzioni alternative.

Dal momento che le fonti statistiche nazionali non fanno distinzione fra ciliegio dolce ed acido, si evidenzia una carenza di dati specifici e attendibili, soprattutto a livello storico: a metà anni '70, tuttavia, era indicata una produzione annua attorno a 8-10.000 tonnellate che, secondo i più aggiornati dati Fao si mantengono tuttora, collocando il nostro paese al 16° posto tra i produttori mondiali di ciliegie acide e al 5° nell'Unione europea, dietro a Polonia, Ungheria, Germania e Croazia, con una quota del 2,5% della produzione complessiva. Circa 1.600 risultano, sempre secondo la Fao, gli ettari attualmente coltivati, contro 1.300 di metà anni '90, a testimonianza di un certo interesse stimolato dalla specie.

Dati puntuali sulla distribuzione regionale del ciliegio acido non sono disponibili, ma tra le aree di maggior diffusione si possono certamente annoverare il Piemonte, il Veneto, la Campania, con la produzione Avellinese ricercata dall'industria di trasformazione e l'Emilia-Romagna, con particolare riferimento alla provincia di Modena.

Proprio in quest'ultima realtà, il ciliegio acido ha articolato legami particolarmente intensi: lo stesso Gallesio sottolineava come nella campagna modenese vi sia l'usanza "di contornare i casolari di campagna di piante di ciliegio allo scopo di fare sciroppi, conserve, confetture, budini e torte". Questa e altre testimonianze inquadrano quel legame storico con il territorio sfociato nel riconoscimento del marchio IGP per la "Confettura di amarene brusche di Modena", primo marchio attribuito ad una referenza ortofrutticola trasformata. Il Consorzio, attualmente, movimenta il 50% circa dei volumi di amarene prodotte in Italia.



La coltivazione del ciliegio, sia dolce che acido, è stata storicamente gestita in forma non specializzata, come pianta singola o isolata, collocata in orti o giardini e solo in tempi relativamente recenti si è passati a forme di coltivazione specializzata. In virtù del minor interesse rispetto al ciliegio dolce, per il ciliegio acido tale passaggio è avvenuto con maggiore ritardo. Fino agli anni '60 del secolo scorso, il ciliegio acido era coltivato quasi sempre come bordura attorno alle case o nei filari di vite, lasciato sviluppare liberamente e con minimi interventi di potatura.

Dopo essere praticamente sparito, negli anni successivi sono stati avviati tentativi di rilancio della specie, che hanno determinato una certa ripresa della produzione. Si passò contestualmente a una coltivazione di tipo specializzato, con il Veneto in prima fila nell'innovazione, razionalizzando gli impianti al fine di ridurne la taglia e di renderli idonei alla raccolta meccanizzata, pratica divenuta nel frattempo imprescindibile per garantire la sostenibilità economica della coltivazione.

Come per quasi tutte le specie frutticole a destinazione prevalentemente industriale, nel futuro si renderà necessaria un'ulteriore spinta verso la razionalizzazione della gestione degli impianti, che permetta una meccanizzazione pressoché totale degli stessi.



Per sostenere adeguatamente il processo di razionalizzazione dovrà essere più efficace l'apporto della ricerca che ha sinora attribuito minore attenzione al ciliegio acido, in virtù della sua minor diffusione ed importanza economica rispetto al ciliegio dolce.

A titolo di esempio, nel trentennio 1980-2010, sono state selezionate, nel mondo, 131 varietà di ciliegio acido contro 457 di ciliegio dolce; in Italia solamente 1 contro 26 di ciliegio dolce. Tra le varietà più diffuse a livello storico si possono citare l'Amarena di Francavilla, l'amarena di Verona, l'amarena di Vignola, Earle, Fanal, Lotova, Meteor, Montmorency e Montmorency de Sauvigny, Spanska e Schattenmorelle, quest'ultima idonea alla trasformazione in marmellate e succhi e particolarmente diffusa nei primi impianti specializzati del Veronese.

Di questi e di altri temi si parlerà al convegno "Le amarene, piccoli frutti dalle grandi potenzialità". Oltre a ripercorrere un percorso pieno di storia e tradizione, il convegno (Formigine, domenica 4 giugno 2017) vuole focalizzarsi sulle più recenti innovazioni tecniche sperimentate oltreoceano nella coltivazione delle amarene e sul progetto che coinvolge l'Università di Bologna sui sistemi di impianto super intensivi integralmente meccanizzabili.

Clicca qui per scaricare la locandina del convegno.

Il convegno è ad ingresso libero, ma è gradita la prenotazione:
Comune di Formigine (MO): 059 416333
Email: urp@comune.formigine.mo.it

Nel pomeriggio, appuntamento con la quinta edizione della festa "Amarenando". Le famiglie si ritrovano assieme per trascorrere una giornata all'aria aperta, in allegria, tra giochi, buone merende e balli contadini. Tutto questo nelle campagne formiginesi, immersi nelle belle piantagioni di amarene di Ca del Rio in Via Bassa Paolucci, 55 a Casinalbo (MO).

Autori: prof. Rino Ghelfi e Alessandro Palmieri – DipSA Università di Bologna
Data di pubblicazione: