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Di Rossella Gigli

La corsa dei paesi esteri a prodursi in casa il proprio fabbisogno di ortaggi apre nuovi scenari da non sottovalutare

Nell'edizione odierna di FreshPlaza abbiamo deciso di dare spazio ad alcune notizie riguardanti nuovi investimenti serricoli in diversi paesi esteri. La tendenza a favorire le produzioni locali e ad affrancarsi dalle importazioni è particolarmente evidente nel settore degli ortaggi, ma interessa anche lo scenario frutticolo. Segno che, dopo decenni di globalizzazione e di "abbattimento" (commerciale) dei confini nazionali, la tendenza del prossimo decennio - almeno in orticoltura - sembra essere quella di un ritorno all'autosufficienza alimentare e di una prevalenza del "locale" sul "globale". Complice la crisi economica e i costi spesso insostenibili delle filiere "lunghe".

Il fenomeno non giunge certo inatteso: il terreno alla sua affermazione è stato ben concimato, in anni recenti, dai dibattuti temi del "chilometro zero", della "sostenibilità", della "biodiversità". Tutto quel che viene prodotto localmente assume - per questo semplice connotato - una prevalenza non soltanto economica, ma prima di tutto concettuale, su quanto giunge da fuori, a prescindere da ogni altro fattore. Con il rischio che la teoria prevalga sulla pratica e che la "qualità" reale delle produzioni si appiattisca sulla (mono)dimensione della "distanza": basta che sia vicino e tutto va bene. Tranne poi scoprire che gli scandali ambientali prosperano anche tra le produzioni "locali", come nel caso della vicenda della compagnia pataticola russa "National Soil Compan" (vedi articolo correlato), per non parlare di scempi ben più vicini a noi e tristemente noti alle cronache recenti.

E' di tutta evidenza che, al semplicemente "locale", dovranno aggiungersi altre garanzie, oggettivamente misurabili e certificabili in base a rigorosi standard qualitativi. Nel frattempo, però, la tendenza pone alcune problematiche di medio e lungo termine. Se gli Olandesi, per esempio, stanno cavalcando tale fenomeno vendendo a mezzo mondo il proprio "know-how" in campo di infrastrutture per la serricoltura d'avanguardia, lo stesso non può dirsi per altri paesi del sud Europa, quali Spagna e Italia in testa, un tempo principali fornitori di ortofrutticoli per il resto del continente.

Fino a quando Spagna e Italia potranno rifornire di ortaggi invernali il resto d'Europa? In che misura l'attuale tendenza all'impianto di serre per le produzioni locali restringerà i volumi esportabili e la "finestra" temporale di fornitura? Su quali fattori si dovrà far leva per non perdere "appeal" sui mercati esteri? Verso quali altri lidi geografici si dovrà guardare per diversificare le esportazioni? Quali innovazioni di prodotto/processo saranno necessarie per continuare a differenziarsi sul mercato? Come conciliare costi crescenti di trasporto a redditi in calo per la produzione?

E, in ultimo, quali tecnologie italiane per l'orticoltura moderna potrebbero essere esportate verso i paesi interessati allo sviluppo su larga scala della serricoltura?