Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber
Intervista di FreshPlaza ad Alessandro Dalpiaz

Nuovi mercati internazionali: Italia esperta, ma pesa il frazionamento delle competenze

Internazionalizzazione e nuovi mercati: il tema è stato ripreso in questi giorni da Gerhard Dichgans, direttore di VOG, circa la speranza di poter esportare mele in nuovi mercati dell'Estremo Oriente, come la Cina, il Vietnam e la Thailandia (cfr. FreshPlaza del 19/09/2016). Oggi, però, verso quei mercati mancano gli accordi, che come noto sono dei bilaterali Stato-Stato. "Le buone notizie ci saranno. Il problema è quando", ci spiega Alessandro Dalpiaz, direttore di Assomela, l'associazione che, per le mele, segue molto da vicino le trattative per i nuovi mercati.

E, nel cercare di capire dove stia lo scoglio nell'apertura di nuovi mercati internazionali, decade l'idea che l'ostacolo maggiore siano esclusivamente le barriere fitosanitarie: "Ci sono governi - continua - che piazzano barriere in maniera speculativa, ma in molti casi sono difficilmente giustificabili"; leggasi che con il tempo poi c'è la possibilità di superarle.

Il vero problema (o quantomeno una grossa parte) sembrerebbe però risiedere altrove e, se le trattative sono a due, sta soprattutto dalla parte italiana. "Rispetto all'Italia - riprende Dalpiaz - altri paesi sono ben organizzati nell'aprire nuovi mercati; un esempio è la Polonia, che per sbloccare il mercato cinese ci ha messo appena otto mesi", mentre l'Italia, nelle trattative con lo stesso paese, è ferma a marzo 2015. "Noi italiani abbiamo un'ottima esperienza, ma scarsa capacità di coordinarci: ci sono poche persone esperte per far fronte alle moltitudini di problemi da affrontare. Per aprire nuovi mercati, il nostro è un paese sottodimensionato rispetto alle aspettative e alla situazione".


Alessandro Dalpiaz, direttore di Assomela, qui al Macfrut 2016.

C'è poi il tema del frazionamento delle competenze che, riprende il direttore di Assomela, "rende ancora più difficile coordinarsi per aprire nuovi mercati. Infatti sono quattro i ministeri coinvolti: quello dell'Agricoltura, quello della Salute, quello degli Esteri, e infine quello dello Sviluppo Economico, e abbiamo avuto esempi anche recenti di scarso coordinamento, perché quanto accaduto con il kiwi non può essere stata questione di una notte (cfr. FreshPlaza del 09/09/2016): allora perché lo si è saputo solo un giorno per l'altro?". Insomma, visto il numero di enti coinvolti dal lato italiano, è sufficiente che una carta si blocchi in un ufficio per far arenare tutta la trattativa.

Ma oltre a una maggiore incisività dell'Italia, anche dall'UE potrebbe arrivare un aiuto nell'apertura di nuovi mercati: l'Europa infatti, "avrebbe il potere di negoziare per tutti e la nostra più recente esperienza è stata negli Stati Uniti, dove contemporaneamente c'erano due trattative aperte: la prima tra l'Italia e gli Stati Uniti, la seconda tra l'Unione Europea, per conto di 8 paesi comunitari, e gli Stati Uniti".

"Da quella doppia trattativa - continua Dalpiaz - noi abbiamo ottenuto la mitigazione dei nostri accordi di commercializzazione, perché nell'apertura di nuovi mercati c'è un ruolo nazionale e un ruolo comunitario, e quest'ultimo dovrebbe essere di coordinamento, di affiancamento, per trovare delle condizioni generali di accesso che siano ragionevoli e sostenibili, e che poi diano spazio ai singoli paesi di percorrere l'ultimo miglio, perché ci possono essere delle situazioni diverse da paese a paese". Detta in soldoni: l'UE negozia per tutti degli accordi al minimo comune denominatore, che vadano bene per i paesi partecipanti, i quali poi intervengono in seconda battuta per limare gli accordi e adattarli a sé. E questo è tanto più vero nel caso delle barriere fitosanitarie.

Maggiori coordinamento e incisività, un organico adeguato e la riscoperta di un ruolo comunitario."Questa - conclude il direttore di Assomela - è la strada che dobbiamo percorrere con più decisione se vogliamo migliorare le prospettive e le condizioni di competitività, e la nostra capacità di essere sui mercati internazionali, la quale poi garantisce remuneratività alle nostre aziende".