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Nel carciofo risiede il futuro economico del Sannio: presentati i risultati della ricerca Pro.Bio.Ca.

La produzione in vitro e attraverso vivai potrebbe essere la frontiera innovativa per la coltivazione del carciofo da destinare sia al commercio gastronomico e culinario sia all'erboristeria. E' quanto emerso dal progetto di ricerca per la produzione di capolini e foglie di carciofo e cardo da destinare all'estrazione di composti nutraceutici, ovvero di quegli elementi che possono essere salutari ai fini anche del benessere fisico.

La sperimentazione si è concentrata soprattutto sulla tipologia "Romanesco" ritenuta più apprezzata dai mercati. Sono state testate anche altre varietà come il Romolo e un clone locale del carciofo di Pietrelcina.

Il progetto, presentato oggi presso la sala "Mario Vetrone" della Coldiretti di Benevento, è stato finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nel 2009 ed ha coinvolto diversi enti di ricerca pubblici, in particolare l'Università della Tuscia quale soggetto capofila, le "Federico II" di Napoli, la Coldiretti Benevento e sette aziende agricole, di cui cinque sannite insediate a Calvi, Pietrelcina e Apice, e due di Castellammare di Stabia, che, costituitosi in Associazione Temporanea di Imprese, hanno realizzato i campi sperimentali di carciofo.

Per quanto riguarda i genotipi analizzati, i risultati della ricerca confermano le ottime risposte agronomiche di tutte le varietà sperimentate ma le tipologie del Romanesco sembrano tuttora confermarsi come le più apprezzate dal mercato.

Attraverso l'analisi delle diverse varietà genetiche esistenti in Italia, che rappresenta uno dei maggiori produttori mondiali del carciofo, si è cercato di comprendere quali effetti economici sia in termini di vendita del fresco che del prodotto trasformato possa avere la conversione delle colture di tabacco attualmente in crisi.

Secondo le stime illustrate dal responsabile tecnico delle sperimentazioni in campo, Antonio Pizzi, ci potrebbe essere un guadagno netto da un minimo di 6mila e 200 euro ad un massimo di oltre 16 mila e in condizioni migliori anche di 26 mila euro per la produzione su 8 mila ettari.

Siamo solo nel campo delle ipotesi perché la fase da valorizzare e implementare è quello dello stoccaggio del prodotto per la vendita costante e una buona campagna di marketing e comunicazione. Un elemento evidenziato anche dai vari produttori coinvolti.

Secondo il direttore di Coldiretti Benevento, Giuseppe Brillante, è necessario sviluppare in questo senso la filiera corta ma anche recuperare il carciofo di Pietrelcina e creare un'immagine del carciofo Sannio attraverso il riconoscimento dell'IGP.

Al convegno di presentazione hanno preso parte numerosi relatori, a partire dal coordinatore del progetto Giuseppe Colla, che ha presentato gli obiettivi generali della ricerca e le tecniche agronomiche per la produzione di biomassa, Francesco Saccardo che ha relazionato sugli interventi genetici per valorizzare il carciofo e il cardo dell'Università della Tuscia, Mariateresa Cardarelli del CRA-RPS di Roma, che ha parlato di vivaismo e micropropagazione, Giancarlo Barbieri dell'Università "Federico II" di Napoli che ha trattato i fattori agronomici e al qualità nutrizionale del carciofo.
Data di pubblicazione: