Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber

I vantaggi delle coltivazioni fuori suolo, quando sono gestite correttamente

Come è noto, il divieto nell'uso del bromuro di metile per il controllo dei patogeni tellurici, ampiamente utilizzato nella coltivazione in serra, ha indotto gli agricoltori verso la ricerca di soluzioni alternative. Fra le diverse tecniche messe in campo (es. solarizzazione, innesto erbaceo, biofumiganti, ecc.), i sistemi di coltivazione fuori suolo rappresentano un valido strumento poiché, oltre a superare i problemi legati al patogeni del terreno, consentono di contenere l'impatto sull'ambiente dell'attività serricola con il mantenimento di un alto livello di efficienza agronomica.

Per conoscere meglio le dinamiche che regolano questi sistemi di coltivazione, abbiamo intervistato Francesco Giuffrida, professore associato di Orticoltura e Floricoltura presso il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell'Università di Catania.


Il prof. Francesco Giuffrida

Rese più elevate, a patto di saper gestire le coltivazioni
"I sistemi di coltivazione fuori suolo, se correttamente gestiti - spiega il docente - sono in grado di assicurare, in confronto alla coltivazione su terreno, rese più elevate e migliori caratteristiche del prodotto, consentendo la razionalizzazione dell'alimentazione idrica e minerale. Il punto sta proprio in quel se correttamente gestiti. Infatti, i sistemi di coltivazione fuori suolo e, in particolare, quelli su substrato si differenziano significativamente dalla coltivazione su suolo per il limitato volume di substrato a disposizione di ciascuna pianta. Solo a titolo di esempio, il volume utilizzabile dalle radici di una pianta nella coltivazione su suolo può raggiungere i 150 litri contro i 6 mediamente fruibili in fuori suolo. A ciò corrisponde una disponibilità di acqua per ciascuna pianta significativamente differente: 12 l/pianta e 2 l/pianta, rispettivamente su suolo sabbioso e su substrato organico".

Le suddette considerazioni lasciano intuire come la gestione delle colture su substrato sia molto più delicata per l'assenza del terreno che, in qualche modo, riesce ad attenuare eventuali "errori" da parte dell'agricoltore. Questo aspetto probabilmente spiega il perché della maggiore preferenza degli agricoltori verso i substrati organici, come per esempio la fibra di cocco, che, grazie alla maggiore inerzia chimica e al maggiore contenuto di acqua trattenuta, si pongono in una situazione intermedia fra la coltivazione in suolo e quella su substrati inerti o inorganici, come ad esempio perlite.

La scelta del substrato
"Tuttavia, i substrati organici potrebbero presentare anche dei punti di debolezza rispetto a quelli inorganici - continua Giuffrida - quali la minore possibilità di reimpiego negli anni e proprio l'inerzia chimica che, in alcuni casi, complica il controllo della soluzione nutritiva a contatto con le radici. Per contro, i substrati organici trovano maggiore possibilità in fase di smaltimento potendoli considerare un sottoprodotto dell'azienda (es. ammendante) piuttosto che un rifiuto".

La scelta del substrato è spesso ancorata ad aspetti di natura economica (costo all'acquisto, costo annuo, ecc.) piuttosto che alle sue caratteristiche fisiche e chimiche. Queste ultime, seppure interessanti anche in fase di scelta del materiale da acquistare, diventano indispensabili al momento di individuare il volume di ciascuna irrigazione.


Esempio di una coltura fuori suolo

"Infatti - commenta ancora il docente - a determinare la quantità di acqua da somministrate a ciascun intervento irriguo contribuiscono il volume di acqua trattenuto dal substrato, che può essere approssimativamente stimato in maniera empirica o misurato con precisione con una analisi appropriata, e la percentuale di drenaggio. Con riferimento a quest'ultima, è da precisare che non esiste un valore prefissato (ad es. il 30% che tutti adottano in quanto considerato praticamente né contenuto né eccessivo) ma dipende dalla conducibilità elettrica (CE) della soluzione nutritiva e da quella che l'agricoltore vuole mantenere nel substrato in rapporto alla tolleranza della coltura alla salinità e quindi alla sua risposta in termini quantitativi e qualitativi. Inoltre, la CE della soluzione circolante a contatto con le radici non corrisponde in assoluto a quella del drenato".

La frequenza irrigua
Altro aspetto da considerare per una corretta gestione della coltura in fuori suolo è la frequenza irrigua, cioè quando irrigare. E' evidente che per evitare stress idrici in difetto alla coltura, si ha la tendenza a irrigare in eccesso rispetto i reali fabbisogni con uno spreco di acqua e concimi (problemi economici e ambientali) e, in alcuni casi, con la morte delle giovani plantule per asfissia delle radici e successivi marciumi, la cui causa viene spesso attribuita dagli agricoltori al substrato piuttosto che alla non idonea gestione dello stesso.

I metodi per definire la frequenza dell'irrigazione in maniera oggettiva, sempre stante quanto riferito da Giuffrida, sono numerosi e fanno riferimento alla misura dell'umidità nel substrato (sensori volumetrici) o alla stima (modelli matematici es. Penman-Monteith) o alla misura (bilancia) dell'acqua consumata dalla coltura. L'applicazione di questi metodi richiede una certa conoscenza tecnica e un adattamento alle diverse condizioni applicative.


Altro esempio di una coltura fuori suolo

Composizione della soluzione nutritiva
Ultimo aspetto da approfondire riguarda la composizione della soluzione nutritiva poiché frequentemente si fa riferimento a formulazioni messe a punto in contesti ambientali (centro-nord Europa) climaticamente differenti da quelli della serricoltura mediterranea.

"Nelle nostre condizioni ambientali, la quantità di elementi nutritivi assorbiti dalla pianta per unità di volume di acqua consumato - conclude il docente - può essere significativamente più basso rispetto a quanto accade nel centro-nord Europa. Una soluzione nutritiva meno concentrata consentirebbe di attenuare i problemi legati all'uso di acque di cattiva qualità e al rilascio nel terreno di cospicue quantità di elementi minerali. In conclusione, tenuto conto dell'elevata competitività nel settore agricolo e della crescente sensibilità dimostrata dall'opinione pubblica per i problemi ambientali e per quelli legati alla presenza negli alimenti di sostanze nocive per la salute dei consumatori, il ricorso ai sistemi di coltivazione fuori suolo rappresenta una interessante opportunità, purché essi vengano gestiti in maniera adeguata".