Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber
Intervista all'avvocato Gualtiero Roveda

L'Unione europea pone un freno alle aziende "finte ecologiste"

Molte aziende, compreso il comparto ortofrutticolo, nel tentativo di proiettare un'immagine di responsabilità ambientale, affermano di essere ecologiche e sostenibili. Tuttavia, spesso il loro reale impegno verso l'ambiente è minimo o addirittura inesistente. Per contrastare il fenomeno, noto come "greenwashing", l'Unione Europea ha emanato la Direttiva 2024/825/UE, pubblicata il 6 marzo 2024 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea. Approfondiamo gli aspetti più rilevanti della questione con l'avvocato Gualtiero Roveda, consulente di Fruitimprese.

FP: L'Unione europea è intervenuta per arginare il greenwashing, cioè il cosiddetto marketing ambientale fuorviante, noto anche come ecologismo di facciata. Di che si tratta?
GR: Il greenwashing è una pratica ingannevole di comunicazione che sfrutta la sensibilità crescente dei consumatori verso le questioni ambientali. Il termine deriva dalla combinazione delle parole "green" (verde), in riferimento all'ecologia e alla sostenibilità e "whitewashing" (imbiancare) afferente al tentativo di coprire o nascondere qualcosa di poco etico o scorretto. Imprese con pochi scrupoli o semplicemente superficiali presentano prodotti o processi come più rispettosi dell'ambiente di quanto siano effettivamente, compromettendo così la consapevolezza della scelta dei consumatori.

FP: Perché la pratica è definita dalla Commissione europea come dilagante?
GR: La Commissione ha rilevato che pare piuttosto diffusa e che, nel 53% dei casi esaminati, il vanto affermato nella "green claim" è risultato vago, confuso o infondato e nel 40% non supportato da evidenze.

FP: Quindi l'UE, pertanto, è intervenuta sia per tutelare i consumatori che cercano di fare scelte sostenibili, sia per proteggere la credibilità delle imprese effettivamente impegnate nella sostenibilità?
GR: Il nuovo provvedimento (Direttiva 2024/825/UE) introduce specifiche disposizioni per contrastare le informazioni fuorvianti e le pratiche sleali prevedendo nel sistema legale dell'Unione Europea una "black list", cioè un elenco dettagliato di pratiche commerciali che gli Stati membri devono considerare "sempre sleali", in quanto ingannevoli riguardo alle reali qualità ambientali dei beni o servizi promossi. Saranno vietate affermazioni generiche, come "rispettose dell'ambiente", e, in ogni caso, le imprese saranno obbligate a presentare prove concrete a sostegno delle loro dichiarazioni ambientaliste. Saranno anche sostanzialmente vietate tutte quelle pratiche in cui venga utilizzato un marchio di sostenibilità che non sia basato su un sistema di certificazione accreditato.

FP: La Direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri.
GR: Sì. La Direttiva è entrata in vigore il 26 marzo 2024. Dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 27 marzo 2026 e le disposizioni dovranno essere adottate a decorrere dal 27 settembre 2026. In Italia, il recepimento formale della nuova direttiva avverrà di fatto tramite l'aggiornamento del D. Lgs. 206/2005 ("Codice del Consumo").

FP: Le imprese, pertanto, hanno tempo per prendere le misure e adeguare la comunicazione aziendale ai canoni di correttezza imposti dalle nuove disposizioni?
GR: Assolutamente, no! La nuova Direttiva europea non lascia tempo alle imprese per adeguare la comunicazione aziendale. Il provvedimento ha essenzialmente lo scopo di facilitare la tutela dei consumatori, agevolando la repressione di ciò che è già vietato.

L'Autorità Garante della concorrenza e del mercato può già sanzionare severamente l'indebita promozione di prodotti, attuata mediante la violazione dei canoni di correttezza. Inoltre, il greenwashing può anche essere valutato sotto diversi altri profili, quali quelli della violazione di norme poste a tutela del consumatore, della concorrenza sleale, della violazione della privativa di diritto industriale. Ricorrendo determinate circostanze si possono anche rilevare responsabilità penali. Le aziende non hanno quindi tempo per adeguarsi, ma devono già allinearsi a standard di trasparenza e veridicità nelle comunicazioni ambientali, per evitare pesanti conseguenze.