Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber

Rapporto Agromafie 2017: non bisogna abbassare la guardia

Trenta per cento in più in un solo anno. Le organizzazioni mafiose hanno ampliato notevolmente il loro giro d'affari nel settore agroalimentare italiano "arrivando a quota 21,8 miliardi, ammontare stimato per il periodo 2016, una cifra che riteniamo possa essere per difetto", come sottolineato da Gian Maria Fara, presidente Eurispes, durante la presentazione del quinto Rapporto Agromafie 2017 a Roma, nei saloni di Palazzo Rospigliosi.

Il documento, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, è inesorabile nel fornire la panoramica generale.

A condire le cifre con le esperienze dirette di dicasteri ed enti, sono arrivati in tanti. Al tavolo dei relatori conducendo i lavori, Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, poi Vincenzo Gesmundo, segretario generale Coldiretti, Gian Maria Fara, presidente Eurispes, che è entrato nel vivo del Rapporto, Marco Minniti, ministro dell'Interno, Andrea Orlando, ministro della Giustizia, Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia e Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione. Infine, Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti e della Fondazione Osservatorio.



Quella cifra di 21,8 miliardi resta una definizione per difetto in quanto non comprende altri introiti delle organizzazioni mafiose, come i proventi da operazioni condotte "estero su estero", gli investimenti in diverse parti del mondo, le attività speculative grazie alla creazione di fondi di investimento operanti su diverse piazze finanziarie, collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di "tramitazione" che porta il denaro alla sua destinazione finale.

Il fenomeno Agromafia è in continua evoluzione, "come è sempre stato nella natura delle organizzazioni mafiose che si sono spostate lì dove si concentrava la ricchezza – ha detto Gian Carlo Caselli – perché il segreto di queste grandi organizzazioni criminali è la capacità di adattarsi. Quindi, se da una parte si allentano le tradizionali intimidazioni eclatanti ed evidenti, dall'altro aumenta il dominio e il controllo economico. Questa evoluzione criminale deve essere contrastata da quella non solo giudiziaria ma legislativa".

E qui il richiamo è alla riforma in 49 punti sui reati agroalimentari studiata dalla commissione capeggiata proprio da Caselli, proposta bloccata da circa nove mesi nei cassetti dei ministeri senza che riesca ad approdare alle Camere per l'esame definitivo e l'approvazione: "Per il bene dei consumatori, è bene che vada presto in Parlamento", ha aggiunto Caselli.

Lo Stato si è mosso grazie al lavoro incessante di Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza che hanno rifornito di dati i curatori del Rapporto insieme alla Magistratura. Azioni più numerose e capillari anche grazie a nuovi strumenti normativi, ma "sulle agromafie non si può abbassare la guardia - ha detto il ministro Maurizio Martina - Il mio ministero nelle attività di controllo ha fatto un salto di qualità enorme negli ultimi anni se penso ai 370.000 controlli in tre anni che abbiamo realizzato autonomamente come ministero. E' segno di un'attività molto capillare e bisogna andare avanti sapendo che alcune aree, come quelle interne, sono particolarmente interessate dal fenomeno delle agromafie".

C'è stata una sorta di spartizione del mercato agroalimentare fra i clan malavitosi, con la famiglia mafiosa Riina specializzata nel settore dell'ortofrutta, la 'ndrangheta e la famiglia dei Piromalli di Gioia Tauro (Reggio Calabria) che ha un suo dominio sul settore della carne o Matteo Messina Denaro, soprannominato "U siccu" perché magro, leader di Cosa Nostra, nato a Castelvetrano (Trapani), con il suo dominio nell'olio extravergine di oliva e la camorra grazie al clan dei Casalesi dell'area di Caserta, con la leadership sulla mozzarella di bufala.

"Da sfruttamento gangsteristico, le mafie si sono fatte imprenditrici – ha descritto Gian Maria Fara – Gestiscono le esportazioni di prodotto italiano vero o falso, costituiscono importanti nodi di scambio all'estero. Il settore agroindustriale in Italia costituisce il 19 per cento del fatturato nazionale, è una filiera strategica con un +12% di occupati nel settore e l'indotto va ben oltre gli aspetti immediatamente legati al comparto. La mafia non si fa sfuggire questa occasione e, in questo modo, crea una sorta di economia parallela tutta sua".

Alla manovalanza spetta adesso la cura dei terreni e il caporalato, mentre i clan condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti, la distribuzione, l'esportazione del vero o falso Made in Italy. "Sono ambiti ideali che consentono alle mafie di sfruttare al meglio i modelli della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell'economia e della finanza 3.0 – ha rimarcato Fara – togliendosi di dosso gli abiti tradizionali per indossarne altri più comuni, quelli dei cosiddetti 'colletti bianchi', più familiari, mimetizzandosi nella società. E' una mafia silente che si confonde fra la gente in modo da intessere una rete economica in maniera più rapida ed efficiente".



Trasformazioni anche nelle stesse grandi città e metropoli, con i tradizionali fruttivendoli e i fiorai quasi completamente scomparsi, sostituiti rispettivamente da egiziani e da indiani o pakistani che controllano ormai gran parte di tali rivendite. Il tutto fa emergere il dubbio che un'organizzazione così efficiente possa anche essere il prodotto di una recente vocazione mafiosa per il marketing, dicono da Coldiretti. Frutta e verdura devono compiere un tragitto ben preciso dai campi di produzione alle tavole degli Italiani: proprio in questo percorso si inseriscono le mafie interessate ad alcuni grandi mercati di scambio per arrivare alla grande distribuzione.

L'agroalimentare viene utilizzato per il grande riciclaggio di denaro sporco anche attraverso Internet aumentando telematicamente la distanza fra riciclatore e risorse da riciclare complicando le indagini. Le mafie controllano le reti informatiche botnet (semplificando: ampia rete di computer che agiscono in sincrono) e sanno usare benissimo le operazioni di speculazione ad altissima frequenza "high frequency rating" capaci di lanciare 5000 operazioni di ordini al secondo cancellandole un secondo dopo, ognuna capace di dare poco guadagno, però, moltiplicato nella massa di operazioni: sono situazioni che condizionano enormemente il mercato agroalimentare accrescendo il volume d'affari delle agromafie.

"Le agromafie vanno contrastate – ha detto Roberto Moncalvo – nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano i prezzi, nell'opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione dei prodotti, ma soprattutto con la trasparenza e l'informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto. Occorre vigilare sul sottocosto e sui cibi low cost dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l'uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi se non l'illegalità o lo sfruttamento".



Sorpresa dal Rapporto #Agromafie2017 è la graduatoria delle province italiane per quanto riguarda il dilagare del fenomeno Agromafia. C'è sì una concentrazione soprattutto al Sud Italia, ma fra le prime dieci realtà provinciali ne entrano alcune del Nord: Genova (contraffazione e adulterazione nella filiera dell'olio; prodotti agricoli esteri vietati o adulterati) e Verona (importazione di suini dal Nord Europa e poi marchiati come italiani; adulterazione di bevande alcoliche e superalcolici come nel caso della rinomata grappa locale), città che si trovano rispettivamente al secondo ed al terzo posto in classifica dopo Reggio Calabria, primati dovuti al ricco traffico del falso Made in Italy.

Fra queste città dal triste primato anche Catanzaro, Palermo, Caltanissetta, Catania, Caserta, Napoli. Al decimo posto la provincia di Bari (sofisticazione di ortofrutta e olio). Non fra le prime dieci, ma situazione critica nelle nordiche Padova (dodicesima) e Treviso (diciassettesima). Ancona, nelle Marche, è solo 32esima, ma lì il fenomeno Agromafia è in forte salita.

Problemi simili fra Calabria, che detiene il primato e Sicilia, quindi controllo delle produzioni agricole, della pastorizia e relativo indotto occupazionale, incendi boschivi, adulterazione di oli, formaggi e vini. Cresce l'abigeato, il furto di bestiame. In Sicilia la mafia è fortemente infiltrata nel mercato ortofrutticolo, dagli agrumi alla frutta fino agli ortaggi a foglia e nel settore della pesca con primato a Caltanissetta.

Ma, come viene fatto risaltare, a taroccare il prodotto italiano e a venderlo sono anche le nazioni emergenti dove dominano fenomeni mafiosi tipici, ma anche e tanto, paesi ricchi come gli Stati Uniti.

Nel settore agroalimentare, uno dei comparti più "inquinati" è quello della ristorazione: le mafie possiedono franchising, catene di ristoranti in varie città d'Italia e all'estero, grazie ai capitali assicurati dai loro traffici illeciti.

"C'è comunque un ritorno alla terra delle mafie come base d'inizio vitale per dominare il mercato agroalimentare – ha detto Marco Minniti, ministro dell'Interno – Reati antichi e modernissimi si mescolano, dal pascolo abusivo alle vendite online, dalle truffe sui fondi comunitari all'occupazione dei terreni come fa la 'ndrangheta. La modernizzazione delle mafie è vitale ma non è pensabile prescindere dalla forte radicazione nel territorio, c'è un forte incrocio-connessione fra la terra, il prodotto, passando per il lavoro, il caporalato. Di certo la legge contro il caporalato è stata un caposaldo e la chiusura del ghetto di Rignano (Foggia) è un primo segno che ci porterà alla chiusura di tutti i ghetti del lavoro esistenti. L'agroalimentare può e deve essere pensato come bene di interesse nazionale e come tale tutelato".

Autore: G.G. per FreshPlaza
Data di pubblicazione: