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Ricerca: funghi e batteri capaci di decontaminare il suolo avvelenato

La natura può risolvere i problemi causati dall'uomo: bisogna solo capire come aiutarla. I suoli e i sedimenti contaminati da idrocarburi pesanti e diossine ancora oggi vengono mandati in discarica: così li lasciamo ai nostri nipoti e rischiamo di inquinare le falde acquifere. "Noi lavoriamo da dieci anni sulla decontaminazione, e volevamo tentare strade diverse basandoci sulle grandi potenzialità offerte da funghi e batteri", spiega Roberto Lorenzi, direttore del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e responsabile del progetto Bio Res Nova.

Insieme alla collega Simona Di Gregorio e ad altri sei tra studenti e ricercatori, in collaborazione con l'azienda di servizi ambientali Teseco e con il supporto della fondazione Pisa, Lorenzi testa da tre anni nuovi bio-trattamenti: "Siamo partiti isolando popolazioni di batteri e funghi nei sedimenti da decontaminare. Sono in grado di vivere lì perché traggono nutrimento dagli inquinanti stessi. Abbiamo moltiplicato i microrganismi in laboratorio e poi li abbiamo reimmessi nella matrice da decontaminare: degradando le molecole tossiche attraverso la loro normale attività metabolica, riducono la concentrazione dei contaminanti", aggiunge Di Gregorio.


La ricercatrice Simona Di Gregorio

La legge prevede standard per i suoli che si vogliono ricollocare in un ambiente industriale o civile dopo il trattamento, ma il team di Bio ResNova non si è fermato qui. "Nelle tabelle ministeriali ci sono solo i livelli massimi del contaminante principale, mentre non si tiene conto che nella degradazione di queste molecole inquinanti si possono formare altre sostanze altrettanto dannose per gli organismi viventi. Ci siamo posti un problema etico, e abbiamo deciso di continuare i processi di bio-trattamento fino a raggiungere buoni risultati anche negli esami ecotossicologici", racconta Lorenzi. Test che oggi sono utilizzati soprattutto in ambito scientifico e non sono previsti dalla legge, ma che assicurano che nel suolo non ci siano più sostanze in grado di causare danni irreversibili al Dna umano, da cui possono scaturire anche malattie croniche come i tumori.

La prima sperimentazione ha dato ottimi risultati: "Siamo partiti da sedimenti in cui c'erano 6mila parti per milione di idrocarburi policiclici aromatici, e in due mesi siamo riusciti a rendere ricollocabile quel terreno in un contesto civile", dice Di Gregorio, che con i colleghi sta lavorando per brevettare il processo di bio-decontaminazione.
Data di pubblicazione: