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A cura di Enrico Barcella

Convegno nazionale sulla batteriosi dell'actinidia: analisi del killer del kiwi



Grande successo tecnico e scientifico del convegno sulla batteriosi dell'actinidia, organizzato dalla SOI (Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana) tramite il suo delegato regionale dott. Agronomo Ottavio Cacioppo.


Ottavio Cacioppo.

Nei due giorni dei lavori, i numerosi relatori hanno sviscerato i misteri della biologia di un batterio che sta uccidendo il Kiwi di tutto il mondo. I dati sono allarmanti, nella sola Nuova Zelanda la malattia ha cancellato circa 6.500 ettari di coltivazione, pari al 45% della superficie totale. Della situazione della Cina si sa poco, mentre da Giappone, Corea, Cile ed Europa arrivano segnali preoccupanti. Per far fronte all’emergenza, i ricercatori di tutto il mondo stanno lavorando per trovare gli strumenti atti a mettere gli agricoltori in grado di difendersi.


Diffusione della batteriosi dell'actinidia nel mondo.

Nel convegno, tenutosi presso l’Istituto di Istruzione Superiore "San Benedetto" di Borgo Piave (provincia di Latina), sono state presentate ben 25 relazioni provenienti da quattro università italiane, 5 istituti di ricerca e da istituzioni di 5 regioni Italiane.


Diffusione della batteriosi dell'actinidia in Italia. In giallo le provincie indenni, in rosso quelle con focolai.

Il quadro è preoccupante ma oggi, le idee su chi sia e come agisca il Killer del kiwi è certamente più chiaro. Le relazioni, infatti, hanno messo in luce alcuni punti essenziali. In primo luogo sembra chiarito che la malattia è arrivata dall’Oriente e non si è certamente generata né Italia né nella Nuova Zelanda. A riprova di ciò vi è l’evidenza che il batterio che causa malattie nel kiwi ha un comune antenato con il tè. E si sa che il tè non è certamente coltivato in Italia né in Nuova Zelanda.

Comunque il batterio modifica spesso il suo genoma, sviluppando continuamente mutazioni che lo fanno sfuggire dalle difese delle piante ed è anche per questo che sarà difficile da controllare anche dall’uomo. Il batterio può penetrare nella pianta dagli stomi, dalle lenticelle, dalle ferite, ma anche dai fiori, sui quali arriva attraverso il polline infetto. Una volta penetrato nella pianta si diffonde nei tessuti sia dal basso verso l’alto, che in senso inverso. Possiede inoltre una sua mobilità autonoma attraverso un proprio flagello. Insomma un microorganismo incredibilmente dinamico, subdolo, che può vivere nel terreno, sulla pianta, sui rami di potatura e può essere trasportato dal vento e anche vivere per lunghi periodi latente nelle piante senza che queste presentino sintomi della malattia.


Piante di kiwi colpite dalla batteriosi

Tenuto conto di quest’ultima caratteristica, di fondamentale importanza è risultata la relazione della prof.ssa Stefania Loreti che ha illustrato le più recenti tecniche di diagnosi del patogeno attraverso analisi convenzionali e del DNA che permettono di scoprirlo con assoluta certezza. Inoltre all’Università della Tuscia, con analisi del DNA sembra abbiano messo a punto un sistema di analisi che permette di distinguere non solo il patogeno ma anche la sua provenienza.

Un punto importantissimo è stato toccato con la relazione del dott. Cipriani del CRA di Roma che, dopo aver analizzato la suscettibilità alla malattia di tutte le varietà commerciali oggi disponibili sul mercato, ha purtroppo evidenziato che nessuna di queste risulta essere resistente. Mentre, alcune introdotte come semi dalla Cina, tra le oltre mille esaminate, risultano poter essere interessanti basi per un futuro programma di miglioramento genetico.

Per ciò che riguarda le strategie pratiche di contenimento dell’infezione, entro i limiti delle normali attività agronomiche, la concimazione e l’irrigazione è stato evidenziato scientificamente non avere grande influenza. Diversamente, eccessi di azoto e di umidità favoriscono l’instaurarsi della malattia.

Nella prevenzione, è basilare invece ridurre la presenza del patogeno, eliminando i residui di potatura e le piante ammalate. Altrettanto importante è l’epoca di potatura, che deve essere effettuata in periodi asciutti disinfettando immediatamente le ferite. Rimane essenziale l’uso del rame nelle diverse formulazioni, poltiglie invernali e idrossidi meno fitotossici durante l’estate. Gli interventi però dovranno essere contenuti in quanto, secondo una ricerca molto discussa riportata da Scortichini, del CRA – FRU di Roma, sembra che il batterio abbia due geni capaci di neutralizzare gli effetti tossici del rame. Se questo fosse vero sarà doveroso fare qualche profonda riconsiderazione sull’uso di questo elemento.

Interessante poi, per il contenimento della malattia, come riportato da Balestra dell’Università della Tuscia, è il ricorso a microorganismi antagonisti come il Bacillus amiloliquefaciens plantarum, che sembra avere una buona azione di contrasto dell’insediamento della batteriosi se utilizzato in formulazione corretta e in tempi precoci rispetto al momento della possibile azione.

Non poteva mancare infine un accenno al costo della malattia, che sta incidendo su un comparto, che nel suo insieme in Italia vale da 376 a 432 milioni di euro per anno. Secondo una relazione del CSO-Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara, la perdita globale in termini economici sarà contenuta se si rimarrà nell’ambito di una riduzione del 10% della produzione in quanto vi sarà un contemporaneo riallineamento dei prezzi, diverso sarà se la diffusione della batteriosi provocherà maggiore distruzione degli impianti (vedi notizia FreshPlaza del 28/05/2012).



Il convegno, dopo la competente ed esaustiva sintesi del prof. Raffaele Testolin dell’Università di Udine, è stato chiuso dall’intervento Prof. Carlo Fideghelli che ha auspicato che l’incontro di Latina diventi un appuntamento annuale in cui confrontare sul piano scientifico i risultati dell’avanzamento delle ricerche su questa terribile patologia.


Il Prof. Carlo Fideghelli, Direttore CRA FRU di Roma.
Data di pubblicazione: