Filare di kiwi presso l'Azienda Valgimigli
Promosso dalla Regione Emilia-Romagna e coordinato dal CRPV di Cesena, il progetto ha ricevuto il pieno sostegno di Organizzazioni di produttori e Istituzioni romagnole, dai più importanti istituti di credito, ai Consorzi agrari e Camere di commercio, fino ai grandi gruppi del sistema produttivo regionale: Agrisol, ApoConerpo, Apofruit, Centro Attività Vivaistiche, Consorzio Kiwigold, Eur.o.p.fruit, Granfrutta Zani, Gruppo Salvi, Minguzzi Spa Consortile, Orogel Fresco, Pempacorer, Unitec.
Ha aperto i lavori il "padrone di casa", Davide Vernocchi, presidente di Apoconerpo, che ha ricordato la grande preoccupazione dei produttori emiliano-romagnoli (e non solo) per l'esplosione della malattia e "il grande lavoro di prevenzione svolto dai tecnici delle nostre cooperative che ha permesso di monitorare, individuare ed estirpare le piante colpite in modo da poter controllare il propagarsi dell’infezione ed evitare soluzioni personalizzate".
Enzo Treossi, storico presidente di Apofruit e ora presidente della Aop Gruppo Mediterraneo ha tenuto a ricordare l’importanza di un'agricoltura regionale che occupa il 40% della popolazione attiva e che, nel caso del kiwi, produce un indotto complessivo, dalla produzione alla vendita, di circa 25-30.000 euro per ettaro.
Da sinistra, Testolin, Reggidori, Strocchi, Vernocchi e Rabboni.
"Dal punto di vista operativo – ha spiegato il presidente del CRPV, Giampiero Reggidori – il progetto, con il coordinamento scientifico del prof. Testolin dell’Università di Udine, si propone di approfondire cinque distinti percorsi".
"Innanzitutto gli studi epidemiologici, condotti dall’Università di Bologna e di Modena, per meglio conoscere i siti di penetrazione del batterio Pseudomonas Syringae pv. Actinidiae, o PSA, la loro importanza per il ciclo della malattia e la modalità del movimento interno del batterio. Quindi, con il coordinamento del prof. Guglielmo Costa del Dipartimento di Colture arboree dell’Università di Bologna, studiare l’influenza delle diverse pratiche agronomiche sia sull’insorgenza della malattia che sulla sua virulenza per individuare le tecniche più idonee per limitare la diffusione del cancro batterico".
"I rimanenti obiettivi del progetto – ha proseguito Reggidori – riguardano l’azione curativa vera e propria messa a punto con il Prof. Brunelli e il Dipartimento di protezione e valorizzazione agroalimentare dell’Università di Bologna; la definizione di apposite tecniche vivaistiche per la conservazione del materiale di propagazione insieme al CAV di Tebano e, infine, in collaborazione con il CSO di Ferrara, la valutazione degli aspetti economici legati all’eventuale abbattimento degli impianti e i possibili effetti sull’intera filiera provocati dalle perdite di prodotto".
Nella foto, da sinistra, Raffele Testolin, Giampiero Reggidori e Enzo Treossi.
Reggidori ha quindi lasciato la parola al Prof. Raffaele Testolin, chiamato – come ha esordito lui stesso – "Per coordinare tanti ricercatori capaci e competenti".
"Si tratta – ha detto Testolin – di un progetto di emergenza, che pertanto deve concentrarsi su alcuni aspetti, non accantonandone però altri, che potrebbero invece essere finanziati dal Ministero o dall’Unione europea".
Il Prof. Testolin ha anche ricordato come il blocco delle frontiere cinesi impedisca di importare materiale genetico indispensabile per la costituzione di nuove varietà che, se resistenti, potrebbero divenire valide alternative alla lotta al PSA, anche se nel lungo periodo.
L’Assessore all’agricoltura Tiberio Rabboni ha iniziato esprimendo grande apprezzamento per questo doppio successo: "Intanto perché c’è un progetto che colma un vuoto a livello nazionale e poi perché è stato fortemente voluto da un alto numero di soggetti – sono 20 gli enti che lo sostengono – che hanno messo in rete le loro competenze in materia di ricerca".
Da sinistra, Davide Vernocchi e l'Assessore Tiberio Rabboni.
"Un progetto – ha continuato Rabboni – che è aperto alla partecipazione di altre regioni ed è auspicabile possa essere inserito in un’attività scientifica di livello nazionale".
Rabboni ha concluso ricordando come i danni da batteriosi in Emilia-Romagna siano stati limitati (12 ettari espiantati su oltre 4.000 coltivati a kiwi) anche grazie alla tempestività del monitoraggio svolto dai tecnici, dagli agricoltori e dal Servizio fitosanitario regionale che ha anche predisposto apposite linee guida.
Lo scorso settembre, la Giunta regionale ha approvato lo stanziamento di un milione di euro per indennizzare gli agricoltori emiliano-romagnoli che hanno dovuto eradicare i loro impianti a causa della virosi della Sharka sulle drupacee e della batteriosi del kiwi.
Il progetto ha durata biennale e nei prossimi anni si potrà capire se le aspettative si tradurranno in risultati validi. Alcune domande sono rimaste però nell’aria: perché si parla di un ceppo virulento italiano e come si è diffuso in tanti paesi del mondo?
Sarebbe interessante conoscere da dove è effettivamente partita la batteriosi: in tal senso, il sequenziamento dei ceppi identificati in Corea, Cile, Nuova Zelanda e Italia potrebbe individuarne l’origine ma non ha trovato, finora, finanziamenti. Gli interessi in gioco sono tanti e le informazioni, se strumentalizzate, potrebbero creare gravi contenziosi commerciali e spiacevoli danni d'immagine al prodotto nazionale.