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Pomodoro da industria: sara' l'Italia a invadere la Cina



"Quando si sente parlare di invasione in Italia di pomodoro dalla Cina, non credeteci. Anzi, è più probabile il paradosso contrario, vale a dire invasione di pomodoro italiano in Cina". Guido Conforti, dell'Organizzazione interprofessionale (OI) pomodoro da industria del Nord Italia ha chiarito diversi aspetti sullo stato del settore. L'occasione è stata un convegno che si è svolto ieri mattina a Cibus, la manifestazione del settore alimentare presso la fiera di Parma.

"Tanti ignorano – ha detto l'esperto - che l'Italia primeggia nel mondo nell'esportazione dei derivati del pomodoro. Seguono la Cina, con meno della metà del valore, e gli Stati Uniti con un terzo rispetto a noi. Un dato sempre ignorato, purtroppo. Siamo i secondi in termine di volumi, ma primi per fatturato. Allora vuol dire che esportiamo prodotti che hanno un valore notevole".


Grafico sul valore del prodotto: Italia surclassa Cina e Stati Uniti.

"Dal 2000 ad oggi l'esportazione di conserve è in crescita, seppur faticosamente, così anche le salse. Esportiamo nei grandi paesi consumatori: Germania, UK, Francia, Usa, Giappone, Paesi Bassi, ma poi in tutto il mondo. Esportiamo valore, ma anche tanto pomodoro. Del pomodoro prodotto in Italia, il 60 per cento va all'estero. Quindi siamo autosufficienti al 250 per cento".



Guido Conforti (a sinistra) e Pier Luigi Ferrari (a destra).

Numeri che sono stati ribaditi dal presidente dell'Organizzazione interprofessionale, Pier Luigi Ferrari: "Esportiamo per oltre un miliardo di euro e importiamo per 157 milioni. Fra l'altro, spesso, il pomodoro importato viene triangolato in altri paesi e neppure si ferma in Italia".

Ad oggi non è stato ancora siglato il contratto fra agricoltori e industria di trasformazione. Una mancanza grave che ha costretto i produttori a trapiantare senza sapere cosa ricaveranno, al di là delle incertezze meteo, dalla prossima raccolta. Il presidente non si è sottratto alla domanda e ha risposto che all'Oi non spetta un ruolo in questo senso, anche se l'auspicio è che si giunga al più presto all'accordo. "Sono fiducioso" ha commentato.


L'Italia esporta il 60% del pomodoro che produce.

Altri numeri del pomodoro italiano, snocciolati da Conforti. Il saldo è positivo per 2,8 milioni di tonnellate di pomodoro equivalente: circa 1,1 milioni di import e 4 di export. Il consumo interno è di 2,1 milioni di tonnellate, pari a 35 chilogrammi pro capite, nel 2014. Nel 2015 si è avuto lo stesso saldo, solo che nel 2014 c'era equilibrio, mentre nel 2015 c'è stata produzione abbondante. "Quindi - ha rimarcato l'esperto - la nostra filiera deve giocare all'attacco ed esportare ancora di più. I consumi italiani sono saturi e senza margini di crescita, mentre nel mondo non ci sono limiti. La globalizzazione dei consumi gioca a favore della nostra filiera".

Maria Chiara Cavallo
, segretario dell'OI, ha spiegato che al nord vi sono 29 stabilimenti che fanno capo all'organismo interprofessionale, per duemila agricoltori produttori. Gli ettari coltivati sono circa 35mila. Del trasformato, il 55% dei prodotti va all'industria, il 31% al retail, il 14% Horeca. La distanza media fra produzione e trasformazione è di 60 chilometri.



Maria Chiara Cavallo (a sinistra) e Gabriele Canali (a destra).

Gabriele Canali, professore di economia agroalimentare dell'Università di Piacenza, ha illustrato il tema del convegno, vale a dire l'impegno della OI nella responsabilità e trasparenza della filiera al nord d'Italia. "L'OI ha detto - avvia oggi un percorso di maturazione di responsabilità sociale verso la filiera. Si va a definire una carta degli impegni. Proporremo nei prossimi mesi delle giornate con porte aperte in campo e negli impianti".


La platea del convegno tenutosi presso "Cibus".

Dalla platea sono arrivate domande sulla netta differenza del Distretto del Nord e quello del Sud Italia. L'unica cosa che sembrano avere in comune è la quota produttiva, pari a circa il 50% a testa. E l'intera produzione italiana ammonta a circa il 50% del totale europeo. "Fra nord e sud – hanno detto Conforti e Canali - può esserci collaborazione e nel Meridione stanno facendo notevoli passi avanti. A volte, però, la politica e la burocrazia rallentano il percorso di crescita. Senza dimenticare che, molto spesso, le zone produttive sono in Puglia e gli stabilimenti di trasformazione in Campania. Con queste condizioni, è difficile organizzare la filiera".