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Sul miglioramento genetico dell'asparago, l'Italia rischia l'ennesimo maldestro autogol

di Rossella Gigli - Chief editor/Manager FreshPlaza.IT

Illuminante e preoccupante insieme: così è suonato l'intervento di Agostino Falavigna, già direttore (oggi in pensione) del Cra-Unità di ricerca per l'orticoltura di Montanaso Lombardo (LO) ed esperto di fama internazionale della coltura dell'asparago, ospite d'onore (insieme al francese Cristian Befve) della tavola rotonda organizzata in occasione della 46ma edizione della Sagra dell'Asparago Verde di Altedo (cfr. articolo correlato).



Falavigna, infatti, dopo aver ripercorso l'incredibile storia che lo ha visto protagonista nella fondazione della moderna asparagicoltura italiana (e non solo), ha lanciato un grido d'allarme sul tangibile rischio che quanto conseguito in 40 anni di ricerca possa essere abbandonato senza alcuna considerazione di merito, per esigenze di riorganizzazione burocratico-amministrativa del C.R.A., il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura.

La storia dell'unico progetto italiano di miglioramento genetico dell'asparago
Ma partiamo dall'inizio. "Non voglio dire di aver cambiato la vita agli asparagicoltori - ha esordito Falavigna nel ripercorrere il suo lavoro quarantennale di miglioramento genetico dell'asparago - ma di essere venuto loro in soccorso".

Lo stato dell'arte della produzione (e della ricerca) in materia di asparago nei primi anni '70 era infatti a uno stadio primitivo. Nella Pianura Padana (Veneto ed Emilia Romagna) si coltivavano antiche varietà centenarie, con rese di 4-5 tonnellate per ettaro, ottenendo prodotto eterogeneo e non rispondente alle mutate esigenze commerciali; nel resto d'Italia, poi, l'asparago era assente.


Agostino Falavigna durante il suo intervento.

"I primi ibridi introdotti in Italia furono di costituzione francese - ha ricordato l'esperto - affiancati da varietà olandesi e californiane. Nessuna di queste, tuttavia, si rivelò idonea a essere coltivata nei nostri terreni e con il nostro clima; anzi, furono soggette a gravi danni da malattie endemiche, improvvisamente divenute epidemiche (stemfiliosi, ruggine, fusariosi)".

Da quel fallimento nacque l'esigenza di sviluppare ibridi adatti al contesto produttivo nazionale; ma per dare vita a un progetto così ambizioso serviva documentarsi e informarsi: "All'epoca - ha proseguito Falavigna - in Italia c'era il deserto scientifico totale sull'asparago... Tanto per capirci, non si sapeva neppure dell'esistenza di piante femminili e maschili". Ragion per cui Agostino Falavigna si recò altrove, in Francia, Gran Bretagna e oltre, per raccogliere ogni contributo la ricerca estera avesse prodotto in materia.

"Non che poi la situazione della ricerca italiana sia cambiata - lamenta oggi Falavigna - poiché anche nei successivi 40 anni il contributo delle Università su questa specifica coltura è rimasto nullo; fatta eccezione appunto per il progetto che, a cominciare dal 1974, mi ha visto direttamente coinvolto".

Esso venne promosso dalle associazioni di produttori (Coop CORAM in primis) e dall'attuale CRA-ORL di Montanaso Lombardo (allora ISPORT) e venne finanziato dalla Regione Emilia-Romagna direttamente (nel primo decennio) e attraverso il CRPV in seguito. Nell'ultimo triennio è subentrato il Consorzio New Plant (Apofruit, Agrintesa, Apoconerpo). Le tecniche allora adottate per l'unico progetto italiano di miglioramento genetico furono quelle più moderne disponibili all'epoca: coltura in vitro e micropropagazione.

Il papà di tutti i principali ibridi di asparago oggi coltivati in Italia e altrove
Partendo dal presupposto che le piante maschili dell'asparago risultavano più produttive, più longeve e tolleranti alle malattie, il progetto di miglioramento genetico condotto da Falavigna si pose l'obiettivo di costituire ibridi completamente maschili, partendo dalle popolazioni locali.


Agostino Falavigna durante il suo intervento.

"Nell'arco di 40 anni - ha sottolineato l'esperto - abbiamo selezionato circa 100 cloni (su 3.000 complessivamente ottenuti) utilizzabili come parentali di un numero praticamente infinito di ibridi maschili. Di qui sono discesi 12 ibridi di valore commerciale (su circa 500 finora valutati), che da oltre 10 anni forniscono circa il 90% della produzione di asparago verde al Nord Italia (vedasi le cv. Franco, Ercole ed Eros), con calibri superiori, meno fibrosi, coltivabili anche a bianco (vedasi cv. Giove), che non richiedono la pelatura del turione (cv. asparago bianco Zeno), con grande adattabilità ai climi variabili (cv. Vittorio) e idonei anche per la produzione di turioni verdi al Sud Italia (cv. Italo)".



I risultati maggiormente degni di nota e i principali vantaggi per i produttori di asparago sono qui di seguito elencati:
  • aumento di almeno 3 anni della longevità della coltura
  • aumento delle rese di circa 2 ton/ettaro all'anno, a parità di costi per la conduzione della coltura
  • miglioramento della qualità del prodotto
  • caratterizzazione del prodotto italiano nel contesto internazionale
Non a caso, come dichiarato da Falavigna a FreshPlaza, proprio questi ibridi costituiscono quasi interamente il materiale vegetale utilizzato nell'asparagicoltura di diversi paesi europei come Ungheria, Romania, Svizzera, Austria e Gran Bretagna: un immenso patrimonio, dunque, e una leadership indiscussa per il nostro Paese, che però oggi rischia di essere cancellata da un semplice segno di penna.

Un primato italiano che rischia di scomparire
Nonostante infatti l'asparagicoltura sia di fronte a nuove sfide epocali, derivanti da una insufficiente variabilità genetica della pianta e nonostante la salvezza di questa coltura sia da individuarsi in caratteri genetici propri di specie selvatiche di asparago esistenti solo in Italia, da alcuni anni i finanziamenti pubblici per l'asparago sono totalmente scomparsi (cosa che ha comportato la cessione delle licenze a imprese private).

E, colpo di grazia, dal commissario straordinario incaricato alla riorganizzazione e razionalizzazione del C.R.A., Salvatore Parlato, è giunto un verdetto che non lascia dubbi sul destino di questo filone di ricerca, come si può ascoltare nel brano che segue, tratto da una sua relazione alla Commissione Agricoltura del Parlamento italiano (il video è stato proiettato da Falavigna durante il convegno):



Che dire? Siamo scuri di volerci dare la zappa sui piedi?

Per maggiori info:
Agostino Falavigna
agostino.falavigna@gmail.it