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Dal convegno organizzato da Confagricoltura Cuneo

Corilicoltura italiana, "bisogna puntare su innovazione e ricerca"

"In occasione delle ultime dieci edizioni del convegno, abbiamo assistito alla crescita del settore delle nocciole in Piemonte, sia in termini di terreni coltivati che di progressi scientifici e innovativi. Questo successo è stato possibile grazie alla collaborazione di tutti. Tuttavia, ci troviamo ora di fronte a sfide importanti come i cambiamenti climatici e la necessità di adeguarsi alle normative ambientali europee del Green Deal, che richiedono un impegno significativo da parte delle aziende. Queste sfide possono essere superate solo lavorando insieme al governo e alle istituzioni. È anche essenziale esplorare nuovi mercati per la nostra produzione in crescita. Inoltre, le recenti stagioni secche hanno ridotto le rese attese, sottolineando l'importanza di continuare a innovare e a ricercare, inclusa la possibilità di utilizzare le più recenti tecniche di miglioramento genetico".

A dichiararlo è stato Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Cuneo e Piemonte, sabato 4 maggio, dal PalaExpo di Cherasco, location che ha ospitato il convegno "Il nocciolo. Innovazione e strategie per il futuro" organizzato da Confagricoltura Cuneo, in collaborazione con Ascopiemonte, Piemonte Asprocor e Coricoop, con il patrocinio e il sostegno di numerosi partner istituzionali e privati.


Roberto Abellonio, Enrico Allasia, Carlo Davico (sindaco di Cherasco) e Gianluca Griseri insieme al giornalista moderatore Lorenzo Tosi

Roberto Abellonio (direttore di Confagricoltura Cuneo) e Gianluca Griseri (tra gli organizzatori dell'evento) hanno ringraziato la nutrita platea, ripercorso brevemente le dieci edizioni dell'appuntamento e ricordato l'importanza delle segnalazioni da parte degli associati, del servizio tecnico e dei relativi bollettini realizzati da Confagricoltura, in collaborazione con la Fondazione di ricerca e sperimentazione Agrion.

Dopo una carrellata di saluti e interventi delle istituzioni, il convegno è entrato nel vivo con la relazione dell'ospite internazionale di questa edizione, la spagnola Mercè Rovira dell'Istituto di Ricerca e Tecnologia Agroalimentare (IRTA) di Tarragona. A lei il compito di mettere in luce le caratteristiche della coltivazione corilicola nel Paese iberico (vedi notizia correlata).

Sergio Tombesi del Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ha invece illustrato come utilizzare portainnesti non polloniferi in una corilicoltura moderna. "Non solo nel nocciolo, ma in molte altre colture, nel mondo universitario è sempre stato raccomandato di spingere sul rinnovamento degli impianti e in Italia, proprio per la mancanza di questo rinnovamento, abbiamo perso molte colture - ha sostenuto Tombesi - Nella fase di impianto del noccioleto una delle prime scelte che si devono fare è quella del materiale vivaistico, che può provenire da diversi sistemi di propagazione. Il materiale maggiormente disponibile arriva da margotta di ceppaia o in vitro, ma c'è una terza opzione, cioè il materiale innestato su portainnesti non polloniferi. Questa è un'opzione molto interessante in quanto la rimozione dei polloni rappresenta circa 1/3 dei costi di manodopera in un'azienda corilicola".

"Quando ci approcciamo ai portinnesti non polloniferi, questi si basano prevalentemente su C. colurna, una specie che deriva dalla Turchia, ma che è diffusa in tutta Europa, e che ha la caratteristica di non avere un portamento arbustivo come il nocciolo. Attualmente sono disponibili sul mercato tre tipologie di portinnesto: gli ibridi C. avellana x C. colurna, come Newberg e Dundee; semenzali di C. colurna; e clonali di C. colurna, come il Coco4®, di cui non si conoscono ancora i comportamenti in campo".

Quando vale però la pena di utilizzare piante innestate? "È stato dimostrato come l'utilizzo del portinnesto comporti notevoli vantaggi: riduzione dei costi, anticipo messa a frutto, maggior produttività dovuta alla vigoria della pianta. La sua gestione però necessita di professionalità - ha evidenziato Tombesi - In terreni poveri, con assenza di irrigazione anche nella fase immediatamente successiva all'impianto, l'utilizzo è sconsigliato per l'alto rischio di mancato attecchimento. Viceversa, in terreni dotati di irrigazione, con una gestione del suolo e dell'impianto puntuale, i vantaggi superano i rischi".

Nonostante i problemi tecnici, durante il collegamento da remoto, Vincenzo Tagliavento, responsabile di laboratorio Phy.Dia. spin off dell'Università degli Studi della Tuscia (Viterbo), ha spiegato come può avvenire la diagnostica delle principali fitopatie che colpiscono il nocciolo, attraverso diverse tecniche di riconoscimento: la visione dei sintomi in campo, l'analisi morfologica e lo studio molecolare in laboratorio. "È importante saper applicare la giusta tecnica al patogeno, senza fermarsi a interpretazioni superficiali che possono condurre a trattamenti sbagliati. Occorre quindi rivolgersi a laboratori in possesso dei necessari accreditamenti per avere analisi corrette: interventi fitosanitari mirati, infatti, fanno risparmiare soldi e tempo, oltre a essere più sostenibili per l'ambiente".

In conclusione, Giuseppe Celano, docente del corso di Agraria DIFARMA dell'Università di Salerno, ha approfondito il tema dell'impatto del riscaldamento globale. "Il sistema noccioleto è particolarmente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici. Abbiamo una variazione dell'estensione e della localizzazione delle aree maggiormente vocate verso nord, ad altitudini maggiori, e una riduzione della vocazionalità in aree - anche storiche come in Campania e Sicilia - dove temperature più elevate non consentono il soddisfacimento delle esigenze in freddo della specie". Secondo Celano, non parlando di mais, pomodoro o carciofo, il problema nel caso dei noccioleti è che si tratta di impianti con una durata di 40 anni, che richiedono investimenti importanti. "Le scelte quindi vanno ponderate in maniera estremamente oculata".

I cambiamenti climatici determinano anche una precoce ripresa vegetativa, un anticipo della data di fioritura, un accorciamento del periodo di crescita, conseguente maturazione anticipata dei frutti (soprattutto nelle aree più meridionali) e riduzione dei loro calibri.

"Alla luce dell'incremento delle temperature, che comporta un aumento dell'evapotraspirazione delle colture, e della riduzione della piovosità, ci sarà una crescita delle necessità irrigue di circa il 30%. I noccioleti che in passato non erano irrigui dovranno diventare irrigui, per assicurare produzioni di qualità. Da considerare, inoltre, una ridotta offerta ambientale di freddo - ha evidenziato Celano - Di fronte a questo scenario, sono due le strategie di adattamento, a breve e a lungo termine. Nel breve periodo si può ricorrere a un uso sempre più efficiente dell'acqua e servirsi delle innovazioni fondate sull'uso di tecnologie per individuare l'esatto momento di intervento irriguo sulle colture. Nel lungo periodo, tuttavia, non è da escludere la sostituzione delle attuali varietà con altre più resistenti al clima. È quindi di estrema importanza l'attività di selezione di cloni con un'elevata tolleranza allo stress idrico e termico".