Nulla più dei numeri può dare sostanza alle parole. Anche se per gli addetti ai lavori sono chiari ed evidenti le preoccupazioni avanzate dal settore in merito, per esempio, alla riduzione degli agrofarmaci consentiti in frutticoltura o ai contraccolpi geopolitici e climatici, l'opinione pubblica è largamente inconsapevole circa questi temi e, soprattutto, circa le conseguenze che tali fattori esogeni stanno già generando. Per questo è importante guardare a qualche cifra.
Nella sua relazione alla 76esima assemblea annuale di Fruitimprese, il presidente Marco Salvi ha tracciato un quadro con alcune luci, ma altrettante ombre.
L'anno 2024, infatti, da una parte ha segnato un nuovo record per le esportazioni italiane di ortofrutta fresca, che hanno superato per la prima volta i 6 miliardi di euro di valore (6,056 miliardi di euro per la precisione), con un incremento del 5.3% rispetto al 2023. Un risultato confermato anche dai dati in volume, con un export di 3.751.017 tonnellate (+9% rispetto all'anno precedente).
Si tratta di dati importanti, che testimoniano di un settore in buona salute che continua a creare occupazione e produrre valore aggiunto, nonostante una situazione internazionale molto complicata; se infatti le manovre protezionistiche di Trump non incideranno in modo decisivo sul nostro export (per il prodotto fresco le nostre esportazioni valgono circa 42 milioni di euro di kiwi), il conflitto in Medio Oriente e gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso stanno minando pesantemente le nostre spedizioni verso l'India e il Sud Est Asiatico di mele e kiwi, prodotti che mal si prestano a soluzioni alternative troppo lunghe e costose, come la circumnavigazione dell'Africa o il trasporto misto mare-terra.
D'altra parte, però, guardando al saldo della bilancia commerciale degli ultimi dieci anni, si nota un dato non irrilevante: nel volgere di un solo anno, tale saldo si è quasi dimezzato, lungo una tendenza discendente che prosegue da diversi anni. Alti e bassi ce ne sono sempre stati, è vero, ma stavolta le preoccupazioni del settore sono più che giustificate.
Tra i campioni dell'export frutticolo italiano, infatti, sono sempre stati inclusi i kiwi e le pere. Ed è focalizzandoci sui grafici relativi all'import/export di queste importanti referenze, che emerge in modo allarmante una situazione di inedita debolezza, dovuta a varie concause.
La barra verde scuro del grafico riportato qui sopra mostra la riduzione dei volumi esportati di kiwi, dopo diversi anni di relativa stabilità. Ciò si riflette specularmente nell'andamento delle importazioni dall'estero, come evidente dal grafico seguente. Si noti anche il rilievo della quota rappresentata dal kiwi di origine greca, che ha superato le forniture cilene, mentre il parterre dei mercati di destinazione del kiwi italiano appare dominato da quello tedesco.
La referenza che mostra però una particolare fragilità, con un declino la cui rapidità non fa presagire nulla di buono è la pera, produzione per la quale l'Italia ha sempre giocato un ruolo da protagonista.
Il grafico qui sotto, dove in questo caso è la barra di colore chiaro a segnare l'andamento annuale dei volumi, mostra plasticamente la spirale drammatica in cui il segmento è precipitato. Diversamente dal kiwi, che sembra reggere almeno in termini di valore, le pere franano anche sul fronte del fatturato complessivo.
Giocoforza, a beneficiare di questa condizione di debolezza sono le importazioni, con Paesi Bassi, Cile, Spagna, Argentina e Belgio tra i principali fornitori. Il grafico qui sotto è la fotografia di uno spostamento di ricchezza che appare strutturale: difficile invertirne la tendenza.
"Il futuro del nostro settore è molto incerto, quello che sta succedendo nel comparto pere, un tempo nostro fiore all'occhiello, potrebbe accadere anche per altri prodotti, è tempo di mettere mano con serietà e responsabilità al dossier agrofarmaci", ha ammonito Marco Salvi. "Dobbiamo evitare una delocalizzazione della nostra produzione ortofrutticola verso paesi come la Grecia, dove gli italiani stanno già investendo nella coltivazione del kiwi con l'acquisto di aziende agricole o joint venture con imprese locali, e dove la manodopera costa una frazione di quanto viene pagata in Italia, per non parlare del Nord-Africa, con gli agrumi, i pomodori e le fragole marocchine che si presentano sul mercato nel bel mezzo delle nostre campagne".
Marco Salvi durante il suo intervento in apertura dei lavori della 76ma assemblea nazionale Fruitimprese.
Salvi ha sottolineato che, senza dubbio, il cambiamento climatico e le politiche in tema di difesa ambientale segneranno il futuro del nostro settore, sia nell'immediato che a lungo termine. "L'approccio della precedente legislatura europea all'argomento si è dimostrato senza dubbio fallimentare, Il taglio lineare proposto all'uso degli agrofarmaci, dapprima imposto e poi frettolosamente ritirato, sotto le pressioni di chi di agricoltura vive ogni giorno, ha lasciato un foglio bianco che dobbiamo scrivere tutti assieme. La difesa della salute delle persone e le politiche di contrasto all'inquinamento devono essere i pilastri su cui costruire la politica economica e quella agricola in particolare, ma non a tutti i costi, bisogna tenere in considerazione tutte e tre le declinazioni della sostenibilità, che oltre che ambientale deve essere economica e sociale".
"Da alcuni anni si è deciso di mettere sul banco degli imputati quelli che noi preferiamo chiamare agrofarmaci anziché pesticidi, perché, analogamente all'azione dei farmaci per l'uomo, servono alle piante per combattere e prevenire le fitopatie e l'attacco degli insetti. Da questo punto di vista posso affermare senza tema di smentita – dice Salvi - che nessun agricoltore ha piacere a usare gli agrofarmaci, ne farebbe sicuramente a meno, se non altro per una motivazione economica. La strategia Farm To Fork aveva individuato nel ricorso al biologico la soluzione del problema; premesso che, come Fruitimprese, non abbiamo nulla contro questo metodo di coltivazione, anzi molti di noi lo utilizzano come punto di forza della propria gamma di prodotti, i fatti stanno dimostrando che di solo bio non si può vivere, per una questione di rese e di terreni idonei disponibili".
Per quanto riguarda la politica europea, Salvi, riprendendo due frasi dalla "Vision", il documento che rappresenta il punto di vista della Commissione UE per il settore agricolo e alimentare ("La Commissione valuterà con attenzione ogni ulteriore divieto di pesticidi se non saranno disponibili alternative in tempi e costi ragionevoli"; ai pesticidi dannosi vietati nella UE non dovrebbe essere consentito di rientrarvi con le importazioni"), sottolinea che "queste sono le prime frasi di buon senso e a favore dell'agricoltura europea che abbiamo sentito da un po' di tempo".
"La parola d'ordine delle politiche europee in questo ambito deve essere reciprocità", ha proseguito Salvi "sia nei confronti dei prodotti di importazione, a cui, in caso di messa al bando degli agrofarmaci vengono concessi due anni di tempo per adeguarsi, sia per quanto riguarda le autorizzazioni in deroga. Se un prodotto è autorizzato e utilizzato in uno Stato Membro, lo deve essere automaticamente anche in quelli in cui si pratica la stessa coltivazione".
Tra i dati statistici che riguardano l'ortofrutta italiana, il presidente Marco Salvi ha evidenziato anche quei settori che, complice il rinnovamento varietale e gli investimenti in ricerca e sviluppo, mostrano di tenere testa alle criticità in corso. È il caso delle mele e dell'uva da tavola.
Dal grafico sopra si evince un interessante andamento soprattutto sul fronte del valore delle esportazioni, in cui il mercato spagnolo si posiziona oggi al secondo posto dopo la Germania. Per il grafico sotto, si noti come l'avvento delle uve seedless abbia contribuito a una remunerazione media in netta risalita rispetto al recente passato.
Ma anche i casi di successo devono fare i conti con la prossima sfida epocale. Il presidente di Fruitimprese ha infatti non a caso concluso il suo intervento parlando della crisi della manodopera. "L'agricoltura italiana, che per tanti anni ha potuto contare sulla manodopera specializzata nazionale o proveniente dall'Est, sta perdendo progressivamente e inesorabilmente personale, i fattori sono molteplici, sicuramente non siamo un settore con un grande appeal tra i giovani, inoltre le maestranze rumene, bulgare e polacche ora preferiscono i paesi del Nord Europa dove la tassazione è più chiara e immediata. Tante aziende si sono rivolte ai lavoratori provenienti dall'Africa, a cui stiamo insegnando il mestiere tra mille difficoltà linguistiche e religiose, ma anche culturali e di rispetto del prodotto, tanto che non è raro sentire di aziende che rinunciano a certe pratiche agronomiche per la mancanza di personale in grado di portarle a termine nel modo corretto. Probabilmente bisogna affrontare la questione abbandonando i soliti steccati che dividono datori di lavoro e sindacati".
"Una cosa è certa – ha concluso Salvi – il problema va affrontato: ne va del futuro di uno dei settori a più alta concentrazione del fattore umano".