Negli ultimi anni, il comparto dell'uva da tavola ha subito alcuni contraccolpi piuttosto importanti, a partire dal 2018 con la crisi del cracking e la conseguente pesante perdita di prodotto, che in alcuni casi superò il 50% del totale della campagna medio tardiva, ovvero quella dell'uva Italia.
Il 2019 non fu da meno, considerata la pesante crisi commerciale in concomitanza con una qualità produttiva non certo eccelsa. Nel 2020, in piena pandemia, nonostante una produzione soddisfacente e una timida crescita, non si è avuto quel riequilibrio necessario a rifondere le perdite degli anni precedenti, con i consumi orientati verso le drupacee che invece hanno fatto la differenza per i coltivatori, specialmente al sud.
Gianni Raniolo
Abbiamo approfondito le dinamiche del settore con Gianni Raniolo, responsabile commerciale dell'Organizzazione di produttori Opens, specializzata nella produzione e commercializzazione internazionale di pregiate uve da tavola.
"Secondo i dati Istat gli investimenti a uva da tavola si aggirano mediamente attorno a oltre 47.000 ettari, tra il 2016 e il 2020, con un andamento in lieve ascesa nelle ultime annate - ha detto l'esperto, citando i dati - Il 2020 chiude con quasi 47.500 ettari, un quantitativo stabile rispetto alla stagione 2019. In media, le produzioni si attestano su poco più di 1 milione di tonnellate l'anno, più elevate nell'ultimo triennio mentre nel periodo 2016-2017 erano poco più contenute e attorno a 980mila ton. Il 2020 chiude con circa 1,04 milioni di tonnellate, il 3% in più rispetto alla campagna 2019".
"La Sicilia, nel 2020 mantiene stabilità di investimenti, attorno a 18.000 ettari, con produzioni in lieve incremento sull'annata precedente (+4%), con oltre 360mila tonnellate. Prima c'è solo la Puglia che detiene il primato nel tempo; nel 2020 i quantitativi raggiungono oltre 600mila tonnellate, in aumento del 2% rispetto a quelli del 2019".
"Nonostante le preoccupazioni degli operatori - ha precisato Raniolo - il comparto gode di buona salute, ma dobbiamo prepararci alle sfide del futuro, a partire dalla concorrenza estera che ci ha anticipato sulle apirene. Circa il 46% del totale prodotto di uva da tavola viene esportato; mediamente l'export si aggira attorno a quasi 460mila tonnellate l'anno. Nel 2020 abbiamo inviato all'estero il 7% in più rispetto all'annata 2019, in cui si rileva una flessone rispetto alle campagne precedenti. Nel triennio 2016-2018 sono state esportate oltre 470mila tonnellate di uva da tavola, l'export maggiore si è raggiunto nel 2017 con circa 490mila tonnellate. Questo vuol dire che abbiamo ancora molte carte da giocare, a patto di incontrare i trend consumistici europei e di oltremare".
"Per questo motivo l'Op Opens punta sui mercati più esigenti - conclude il manager - ed è per questo che vantiamo l'intera gamma delle certificazioni internazionali. La compagine associativa è formata da 23 soci, per un totale di 950 ettari di terreni, che conferiscono presso i magazzini della Op per mantenere la massima freschezza. Una qualità espressa con il valore aggiunto delle certificazioni GLOBALGAP, GRASP, IFS, BRC, Bio, BIOSUISS, Demeter, SPRING e IGP, e quotidianamente da altissimi standard produttivi, condizioni di conservazione e trasporto delle referenze, al fine di garantire la massima sicurezza al consumatore, in qualsiasi parte del mondo si trovi. E intanto crescono le nostre superfici di prodotto apirene, bio e biodinamico".
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