"E' il prodotto che più ci identifica. Ciononostante, non si sta facendo alcunché per tutelarlo. Solo l'Indicazione geografica protetta-IGP potrebbe salvare il peperoncino calabrese, ma l'iter burocratico è ancora lungo. La concorrenza sleale avanza sempre di più e siamo stati tagliati fuori dal mercato. Quest'anno si è avuta una riduzione della produzione, anche perché il peperoncino macinato in polvere di origine estera ha un costo di 3 euro, contro i 17-18 euro del nostro prodotto". A dichiararlo è Pietro Serra, presidente del Consorzio del peperoncino di Calabria.
"Nella nostra Regione e in Italia arriva un prodotto di cui non è garantita la sicurezza alimentare, pieno di coloranti/conservanti, la maggior parte dei quali vietati in Ue. E che finiscono con molta probabilità anche nei nostri salumi DOP. Il paradosso è, infatti, che nei loro disciplinari di produzione non è indicata alcuna origine specifica per la polvere di peperoncino da utilizzare, quindi può essere italiana, calabrese o anche estera".
Il comparto ha bisogno di valorizzazione e tutele per svilupparsi e competere in un commercio con poche garanzie igienico-sanitarie e bassa qualità.
La fotografia del mercato del peperoncino, scattata da Cia-Agricoltori Italiani, parla di una grande richiesta da parte dei consumatori, a fronte di una scarsa produzione nazionale (30% del fabbisogno) che determina la sudditanza dai mercati extra-Ue (2.000 tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia) e deprime il made in Italy sotto la competizione da parte di un prodotto dai bassi standard qualitativi, importato a prezzi stracciati (un quinto in meno, secondo le stime).
Per svilupparsi e competere, quello che è uno dei simboli gastronomici del nostro Paese ha bisogno di una filiera di qualità superiore, innovativa e integrata. "Il peperoncino rappresenta l'emblema della Regione Calabria, ma ancora oggi non è un ortaggio riconosciuto a tutti gli effetti. E' infatti identificato come sottospecie del peperone e considerato da molti una spezia. Le difficoltà legate a questa tipicità territoriale sono tante: la tipicizzazione delle cultivar, la siccità, la manodopera, la concorrenza sleale" spiega Serra.
L'elevato costo di produzione del peperoncino in Italia, sia fresco sia trasformato in polvere, è dato, soprattutto, dall'incidenza della manodopera e da procedure di trasformazione altamente professionali, compresi macchinari per l'ozono, al fine di ottenere una perfetta essiccazione. Secondo Cia, occorre dunque una maggiore valorizzazione e tutela del prodotto che, grazie al microclima e alle caratteristiche orografiche del terreno, trova nel nostro Paese l'ambiente ideale per la sua coltivazione.
La creazione di denominazioni di origine territoriale darebbe al consumatore garanzia di qualità, tracciabilità e salubrità e un valore aggiunto adeguato alla parte produttiva, incentivata ad aumentarne la coltivazione estensiva, localizzata perlopiù in Calabria (100 ettari, con il 25% della produzione), Basilicata, Campania, Lazio e Abruzzo.
"Il 50% della nostra produzione è destinata ai Paesi Bassi"
L'IGP sarebbe un volano per le produzioni calabresi di peperoncino, secondo Pietro Serra, cresciuto in una comunità agricola, specializzata in questa coltura. "Il 50% dei nostri prodotti è destinato al mercato olandese. Si verrebbe, così, incontro alla domanda sempre crescente dell'industria alimentare, che produce sughi e salami piccanti, senza dimenticare l'export, con la richiesta per salse e condimenti delle grandi aziende del food".
Valle dell'Esaro: il territorio più vocato
"L'areale calabrese che offre le migliori condizioni per la coltivazione del peperoncino è la Valle dell'Esaro, in provincia di Cosenza: si tratta di circa 17 comuni, dove il microclima consente un adattamento perfetto della coltura. Il segreto è l'escursione termica durante la notte".