Molti membri nazionali del Copa-Cogeca, la federazione europea che comprende le associazioni di agricoltori e cooperative agricole, stanno denunciando un incremento delle pratiche commerciali sleali dall'inizio della pandemia, inclusa la pressione al ribasso sui prezzi pagati ai produttori, mentre i prezzi al consumo rimangono invariati se non aumentati, in particolare per i prodotti deperibili come frutta e verdura.
La Ue ha approvato, un anno fa, la Direttiva (UE) 2019/633 per contrastare il fenomeno. Attualmente, però, pare che solo la Spagna l'abbia recepita. In Italia sono in corso i lavori, in sede parlamentare, di una legge delega per attribuire al Governo la specifica definizione della disciplina. Chiediamo chiarimenti in materia all'avvocato Gualtiero Roveda con il quale abbiamo già in passato, più volte, affrontato l’argomento degli effetti dello squilibrio considerevole nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli. .
Gualtiero Roveda
FreshPlaza (FP): Il provvedimento legislativo che l'Italia adotterà per attuare la Direttiva in materia di pratiche commerciali sleali è destinato a sostituire o modificare l'art. 62 del decreto legge 24 gennaio 2012 n.1. Perché tale normativa è stata assolutamente inadeguata a raggiungere gli effetti sperati?
Gualtiero Roveda (GR): Il motivo è molto semplice: non ci sono state né denunce, né controlli. Negli ultimi anni, risulta vi siano stati solo tre esposti e non si ha notizia di istruttorie avviate d'ufficio dall'Autorità per accertare la sussistenza di pratiche sleali a danno delle imprese del comparto ortofrutticolo. Le ragioni che giustificano la mancanza di denunce da parte di operatori, vessati da pratiche negoziali inique, sono di immediata evidenza e si sostanziano nel timore di subire ritorsioni commerciali.
Non è un caso che, nell'unico procedimento conclusosi con l'accertamento di una violazione dell'articolo 62, al momento dell'esposto il denunciante non fosse più fornitore delle imprese segnalate all'Autorità. Più complessa è, invece, la questione relativa alla mancanza di controlli pubblici. In pratica, la causa è da ricondurre a incertezze interpretative della normativa, accentuate dalle letture che ne hanno dato il Mipaaf, il Mise e l'AGCM.
FP: Un intreccio burocratico devastante ha affossato la norma?
GR: E' difficile sostenere il contrario.
FP: L'adozione della nuova Direttiva risolverà il problema?
GR: Se non vi sarà un intervento deciso da parte del legislatore italiano, assolutamente no.
FP: Per quale ragione?
GR: I limiti sostanziali della Direttiva sono tali che, se non adeguatamente corretti, il provvedimento che ne seguirà sarà assolutamente inefficace. In sintesi, la questione è la seguente: la Direttiva individua tipologie ben definite di pratiche scorrette. Tale indicazione risulta di stretta interpretazione, in ragione del carattere eccezionale rispetto al principio di libertà contrattuale. Non potrà, pertanto, essere sanzionata, in base alla disciplina in esame, una condotta sleale che non rientri tra quelle tipizzate. Di conseguenza, è assolutamente prevedibile che la parte contrattualmente forte troverà sistemi alternativi per imporre condizioni penalizzanti, non previste dal legislatore.
FP: Qual è il rimedio?
GR: La Direttiva è uno strumento di armonizzazione minima. L'Italia in sede di attuazione può adottare norme più rigorose. E' sufficiente sul punto rifarsi all'art. 62 - che sotto quell'aspetto era ben impostato - e prevedere una clausola generale definitoria per consentire all'autorità designata di reagire efficacemente a condotte nuove, non previste dal testo normativo. L'elenco di "pratiche sleali" individuato dalla legge di recepimento, per dare sostanza alla norma, dovrebbe avere carattere meramente esemplificativo e le condotte, contrarie a correttezza e buona fede, essere sanzionate a prescindere da una previsione espressa di come siano attuate.
In particolare, è essenziale che siano ricompresi anche i comportamenti successivi alla conclusione del contratto, in quanto la pratica commerciale sleale dell'acquirente, il più delle volte, interferisce proprio con la corretta esecuzione del contratto, come nel caso classico di contestazione pretestuosa dei vizi della merce. A tal fine sarebbe opportuno inserire l'obbligo a carico dell'acquirente di segnalare ogni anomalia relativa all'esecuzione del contratto all'Autorità competente affinché questa possa effettuare controlli a campione sui fatti denunciati.
FP: In pratica, se non si interviene energicamente sulla scrittura del testo di recepimento della Direttiva, ci si dovrà confrontare con l'attuale realtà, molto penalizzante per i soggetti deboli della filiera, per molti anni ancora.
GR: Purtroppo è così. Nel settore, però, fortunatamente abbiamo molte figure di spessore che, da tempo, dialogano tra loro. Sono convinto che troveranno il modo di evidenziare le criticità a chi di dovere. Si deve anche rilevare che la Ministra Bellanova è molto sensibile al problema ed è fermamente orientata a tutelare i soggetti deboli della filiera. Il riequilibrio del sistema, non solo è atto giuridico conforme ai principi dell'ordinamento, ma anche atto etico.