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Inchiesta giornalistica sul pomodoro: il parere dell'avvocato Roveda

Il prodotto e' in regola, ma attenzione al cocktail di residui

Pomodori nella norma, ma la comunicazione spinge troppo sul titolo ad effetto. Un mensile dedicato ai diritti dei consumatori riporta i risultati di analisi di laboratorio eseguite su 12 tipologie di marchi differenti di pomodoro per verificare la presenza di metalli pesanti e pesticidi. Le varietà esaminate sono i pomodorini a grappolo, ciliegino, Pachino e marzanino, tutti acquistati a Roma, e venduti dalle principali catene di supermercati e discount italiani.

I risultati sono, a giudizio del giornale Il Salvagente, piuttosto allarmanti e tali da suggerire quale titolo di copertina della rivista: "Rosso pesticidi". L’esito del test, effettuato mediante esami oggettivi e indipendenti, ha infatti evidenziato sui prodotti, in alcuni casi, la compresenza di metalli pesanti e pesticidi. Sono, però, anche stati rilevati prodotti con assenza di residui. Chiediamo all'avvocato Gualtiero Roveda, consulente di Fruitimprese, un parere in generale sui residui, partendo da questa notizia.

FreshPlaza (FP): Avvocato, qual è il suo giudizio sui risultati dei test effettuati da "Il salvagente" sui pomodori?
Gualtiero Roveda (GR): Il test, ovviamente, non ha pretese di avere valore statistico. Tuttavia, evidenzia la circostanza, indubbiamente positiva, della piena conformità dei campioni esaminati ai limiti di legge. Il problema, posto con toni allarmistici all'attenzione dei consumatori, è invece quello del cosiddetto effetto cocktail, cioè dell’azione combinata di basse dosi di diversi principi attivi compresenti sul prodotto.

Su un pomodoro, l'analisi multiresiduale ha rilevato ben 16 pesticidi (12 molecole di fungicidi e 4 di insetticidi) in altri 5 e 4. Vi sono stati però anche risultati di segno opposto sotto tale profilo. Ad esempio, i campioni di pomodorini convenzionali di Coop, Lidl e Oranfrizer hanno evidenziato, oltre il pieno rispetto dei limiti di legge, la presenza di un solo residuo.

FP: Per questa ragione, nonostante l'armonizzazione, nei diversi Paesi dell'UE sugli LMR, a livello contrattuale, i clienti possono pretendere il rispetto di parametri più stringenti.
GR: E' così. Mi riferiscono che alcune catene della GDO impongono che le forniture abbiano un valore complessivo dei diversi residui inferiore all'80% del massimo consentito (LMR) e un numero di residui chimici non superiore a 4.

FP: La questione è quella di coniugare la qualità dei prodotti con un ridotto uso di fitofarmaci. Che effetto avranno le richieste dei comitati verso il Governo per una maggiore tutela dell'ecosistema e dei cittadini?
GR: Queste istanze verranno sicuramente valutate nel PAN pesticidi, il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che ogni cinque anni viene riesaminato dal Governo per dare l’indirizzo sull'uso dei pesticidi nell'ambito delle politiche agricole e ambientali.

FP: Nel caso il prodotto commercializzato superi, invece, i limiti imposti dalla legge quali sono le conseguenze?
GR: In materia la norma di riferimento è l’art. 5, lett. h) della Legge n. 283/62 che impone il divieto di vendere, detenere per vendere o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari con residui di presidi sanitari tossici per l'uomo. La violazione costituisce illecito penale. L’apparato sanzionatorio prevede, per la violazione della norma in esame, la pena dell’arresto da 3 mesi a un anno o dell’ammenda da 2.582,28 euro a 46.481,12 euro. Inoltre, in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

FP: Nell'ambito della filiera chi risponde del reato in questione?
GR: Dall'orientamento della Cassazione, emerge la tendenza a ritenere responsabili "tutti coloro che, nel ciclo produttivo e nella dinamica della commercializzazione, concorrono all'immissione dei prodotti alimentari al consumo", che hanno il "dovere di porre in vendita il prodotto alimentare sfuso in conformità alle prescrizioni di legge".

FP: Nel caso di prodotti d’importazione?
GR: L'art. 12 della legge in questione stabilisce l’illiceità dell’importazione sul territorio nazionale di prodotti alimentari che non rispettino i requisiti prescritti dalla legislazione nazionale. In pratica, un importatore ha un obbligo ben preciso: quello di sottoporre o far sottoporre agli opportuni "controlli" le sostanze alimentari che si accinge a importare, onde verificarne la conformità alle prescrizioni normative.