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Le imprese vanno all'estero

Frutta secca, tra nuove opportunita' e recupero paesaggistico

C'era un tempo in cui la produzione di frutta secca italiana, specialmente per quanto riguarda la mandorlicoltura, faceva segnare il primato mondiale per quantità e qualità. Oggi le aziende preferiscono andare all'estero, dove i costi di produzione sono inferiori. Può definirsi un errore storico dell'agricoltura italiana quello che, 50 anni fa, ha contribuito a sconvolgere il paesaggio delle nostre campagne, con l'estirpazione dei migliori mandorleti a favore di colture dal reddito più immediato.

Il primato californiano, con il suo 80% sull'export mondiale, condiziona tutt'ora il mercato internazionale, la cui ascesa è iniziata negli anni '70, proprio quando in Italia (prima in Puglia e poi in Sicilia) si estirpavano diverse decine di migliaia di ettari di mandorleti per far posto ai tendoni di uva da tavola in irriguo.

L'Italia, nell'immediato dopoguerra e fino agli anni '70, appunto, deteneva il primato nella produzione mondiale di mandorle. Oggi importiamo i due terzi di quello che serve per soddisfare le crescenti necessità delle nostre aziende dolciarie e alimentari.

La domanda di mandorle sta diventando sempre più sostenuta anche in grandi e popolose Nazioni come Cina e India che, per ragioni climatiche, non possono produrle. Finora i Paesi che stanno beneficiando di questo successo sono Usa (California), Spagna, Turchia e diversi altri Paesi del bacino del Mediterraneo, mentre l'Australia si sta prepotentemente inserendo.

Sono i Paesi emergenti, in partnership con aziende italiane, che nei prossimi anni si ritaglieranno importanti fette di mercato, mentre l'Italia continua a "inseguire" un'ortofrutticoltura ad altissimo reddito, che però deve scontrarsi con un mercato sempre più dinamico, selettivo e spietato nella concorrenza, e con un alto indice di rischio.

Coltivare mandorle e frutta secca al posto di serre e tunnel (spesso in stato di abbandono a causa dei tanti fallimenti societari), significherebbe anche recuperare paesaggi devastati da colture intensive, ma soprattutto generare nuovi posti di lavoro.