Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber
La distribuzione italiana sotto la lente d'ingrandimento dell'USDA

Italia ancora patria dei piccoli negozi e dei prodotti di marca, ma qualcosa si muove

I negozi alimentari tradizionali sono ancora i luoghi d'acquisto preferiti dagli italiani, mentre il mondo della grande distribuzione continua ad essere molto frammentato: questa, in estrema sintesi, l'analisi che il Dipartimento statunitense per l'Agricoltura, US Department of Agriculture - USDA, fa dell'Italia, dal punto di vista della vendita al dettaglio, nel suo ultimo rapporto dal titolo '2014 Italian Food Retail and Distribution Sector Report'.

La panoramica
A differenza di altre nazioni europee, sono ancora i piccoli negozi tradizionali a trainare le vendite mentre la grande distribuzione italiana stenta ancora a consolidarsi e a concentrarsi nelle mani di pochi gruppi. Complice qui anche la legislazione italiana, che tende a favorire i piccoli negozi: per quelli che hanno una superficie di vendita sotto i 250 metri quadrati non servono autorizzazioni particolari, mentre per i grandi magazzini servono sia autorizzazioni locali che regionali. Inoltre l'apertura di un nuovo grande magazzino o di un centro commerciale non è sempre vista di buon occhio dalla popolazione residente.



Le differenze del comparto retail non sono solo tra l'Italia e il resto dell'Europa: sono evidenti differenze anche all'interno della stessa penisola. Poco più di un supermercato su 2 (esattamente il 53%) si trova nel Nord Italia, circa 1 su 4 al Sud (27%) e solo 1 su 5 nel Centro Italia (20%).

Ad oggi in Italia sono 6 i maggiori retailer: Coop Italia, Conad, Interdis, Carrefour, Auchan e SPAR. Se parliamo invece dei maggiori player in fatto di ricavi, vanno aggiunti anche Esselunga e il Gruppo Pam.

Quattro dei big (Coop Italia, Interdis, SPAR e Conad) sono cooperative di operatori più piccoli e devono il loro successo proprio alla loro approfondita conoscenza delle esigenze locali e delle preferenze negli acquisti da parte dei consumatori.

Dall'estero si sono affacciati in Italia i francesi Carrefour, Auchan e Leclerc (grazie a una serie di joint venture con operatori locali italiani) e i tedeschi Rewe e Lidl. Quest'ultima in particolare è una catena di discount, che in Italia resta piuttosto marginale ma, causa o merito della crisi, sta incrementando il proprio market share.

Le private label
Il consumatore italiano è piuttosto esigente, più dei propri omologhi europei, tanto che è disposto a pagare di più pur di avere un prodotto che ritiene di qualità superiore. Questo, finora, ha di fatto congelato il settore delle private label, a favore di quello dei prodotti di marca.

Tuttavia la riduzione del potere d'acquisto e nuove dinamiche di consumo e di acquisto stanno sbloccando la situazione in favore dei prodotti a private label, visti non più con indifferenza, anche perché offerti a prezzi inferiori dei corrispettivi di marca. Insomma, si tratta di un mercato con un enorme potenziale di crescita.

Qualcosa si muove
Qualcosa sta cambiando: ad esempio la continua evoluzione della società sta portando gli italiani a scoprire e preferire i pasti ready-to-eat e ready-to-serve, così come stanno scoprendo la convenienza dei punti vendita di grandi dimensioni, come iper e supermercati.

Nel Sud, poi, un paio dei maggiori player stanno cominciando ad espandersi. Inoltre il mondo della GD ha sempre maggiore appeal nei confronti dei consumatori, attratti dalla possibilità di poter contare su una vasta gamma di prodotti e servizi aggiuntivi che i piccoli negozi non possono offrire loro.

I consumatori italiani del XXI Secolo
Ma la matrice del cambiamento sta anche dal lato del consumatore, perché rispetto a pochi anni fa è il consumatore stesso ad essere cambiato. Prima di tutto le famiglie sono più piccole, poi sono aumentate le ore di lavoro e al contempo è diminuito il tempo che ognuno può dedicare all'acquisto; da qui il vantaggio di recarsi in un unico punto vendita per completare tutta la spesa.

Pure stanno aumentando il numero di single (chi cioè deve fare la spesa solo per se stesso), come pure c'è da mettere in conto l'invecchiamento della popolazione.

L'attenzione tutta italiana per la qualità e la freschezza dei prodotti si traduce in pratica nel fatto che molti italiani preferiscono effettuare una spesa quotidiana piuttosto che settimanale, a differenza degli europei che invece preferiscono una spesa di massa una volta alla settimana.

Il futuro
Nel suo rapporto, l'USDA analizza anche il comportamento di alcuni dei maggiori player della grande distribuzione attivi in Italia.
  • Rewe: alla fine di giugno ha venduto 53 dei propri supermercati Billa alla Carrefour come parte della propria manovra di ridimensionamento sul mercato italiano. Progressivamente il gigante tedesco sta puntando sul discount, dove ad oggi possiede 311 punti vendita a insegna Penny Market.
  • Carrefour: ha già una forte presenza sul mercato italiano e l'acquisto dei punti vendita della Rewe ne rafforza la presenza nel Nord Italia.
  • Esselunga: ad oggi ha 140 punti vendita, soprattutto al Nord. Nel 2013 ha segnato un calo nei profitti, che però si aggirano ancora sui 6,9 miliardi di euro.
  • Lidl: stando a quanto riportato dalla stampa di settore, il gigante dei discount investirà nel quinquennio 2013-2017 100 milioni di euro per 120 nuovi punti vendita in Italia e per ammodernare i 560 esistenti.
  • Coop Italia: sta puntando molto sulle private label, di cui ad oggi è leader (sono sue il 30% di quelle scambiate), riducendo il prezzo degli alimenti di base e sviluppando una propria identità di gruppo.