
Quando si parla di "al di sotto della soglia di sostenibilità" ci si riferisce a un bilancio aziendale serio, di quelli che in campagna stilano pochissime aziende, vale a dire un bilancio che tenga in conto la remunerazione al produttore, gli ammortamenti, gli accantonamenti ecc.

Un rischio potenziale potrebbe essere quello di veder scomparire, nel volgere di 10 anni, il 70% delle aziende produttrici di pere, se è vero che attualmente solo il 30% riesce a stare veramente sul mercato, cioè stilando quel famoso bilancio con tutti i crismi e coprendo quindi non solo i costi, ma portando a casa il margine necessario per far quadrare tutte le voci, investimenti compresi.

L'unica maniera per stare in piedi sarebbe vendere a un prezzo maggiore, ma per giungere a questo ci vorrebbe più organizzazione. Il consumatore stima e apprezza il prodotto italiano, ma solo fintanto che quello straniero non costa anche solo 10 centesimi in meno. In quel caso, la convenienza prevale.
Quali clienti per la pera italiana?
Un'altra questione è: dove vendere tutte le nostre pere? In teoria sarebbe facile vendere dove non c'è produzione, tipo in certe zone dell'Asia. Ma nei Paesi orientali gradiranno le nostre pere, tipicamente rugginose? La risposta è no.

Dove esportare allora? Il mercato della Cina è chiuso, quello degli Stati Uniti è chiuso, quello russo è chiuso. Ad altri non piacciono le pere con l'aspetto rugginoso. Insomma, non è facile trovare nuovi sbocchi.
Circa l'innovazione varietale, il comparto pere è piuttosto refrattario. Le pere rosse possono avere un futuro, perché il consumatore è attratto dal colore rosso, su tutti gli articoli. Non è facile trovare varietà che siano decisamente migliori delle altre.
L'agricoltura italiana ha un livello di efficienza paragonabile a Paesi che hanno costi di produzione più bassi del 30%, e viceversa ha costi di produzione paragonabili ha chi ha un'efficienza superiore. Quindi difficilmente può rimanere a lungo sul mercato, se non inverte la rotta.