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Dagli scarti della frutta si possono ottenere fibre tessili innovative

Frutta e Moda: un binomio che apparirà insolito a molti e che invece potrebbe farsi largo fin d'ora grazie a una valorizzazione innovativa degli scarti della frutta.

Non si tratta di favole futuristiche, ma di una realtà che è già in fermento: si possono infatti ricavare fibre tessili vegetali dagli scarti di banane, ananas, cocco e agrumi.

Un articolo apparso sul The Guardian racconta l'esperienza di successo di alcuni pionieri del settore: modelli di ecocompatibilità che si coniugano a una valorizzazione innovativa in campo tessile.

Addio dunque alle vecchie materie prime dai costi ambientali insostenibili?



Per prima cosa guardiamo all'industria tessile oggi: un terzo delle materie prime lavorate è cotone, da cui si ottiene una fibra tessile molto dispendiosa in termini di manodopera, acqua e prodotti chimici durante la lavorazione. E' possibile guardare ad altre fibre tessili vegetali?

Si pensi ai fusti delle banane, ad esempio: 1 miliardo di tonnellate di fusti viene sprecato ogni anno, benché una ricerca dimostri già che con 37 kg di scarto si può ottenere un chilo di fibra tessile. Charlie Ross, fondatore di "Offset Warehouse", collabora con una ONG-Organizzazione non governativa in Nepal per la produzione di banane, oltre a giacche, pantaloni e gonne con la fibra che se ne ricava.

Carmen Hijosa, ideatrice di "Ananas Anam", ha messo a punto Piñatex, un materiale simile alla canapa ricavato dalle fibre delle foglie d'ananas e ottimo per produrre scarpe e borse. A 18 sterline al metro sarebbe più conveniente del 40% rispetto a un cuoio di buona qualità che ne costa 30 (cfr. FreshPlaza del 20/01/2015).

I produttori di abbigliamento sportivo sembrano invece preferire le noci di cocco: un migliaio di questi frutti può fornire 10 chili di fibra e ogni 30-45 giorni si effettua la raccolta.

Le aziende "Tog 24" e "North Face" già oggi usano la cocona - un tessuto misto di noci di cocco e materiale vulcanico commercializzato dalla "37.5 Technology" – e sono così sempre meno dipendenti dai tessuti sintetici.

Sul fronte OGM c'è chi non ha paura di lanciare una provocazione, come la designer e ricercatrice Carole Collet, con il suo progetto Biolace: è l'idea di una pianta geneticamente modificata intesa come mini fabbrica alimentare e tessile. Che, per intenderci, produce al contempo fragole, pizzi e merletti.

In Italia non mancano gli esempi virtuosi, anzi: con la start-up "Orange Fiber" due trentenni catanesi, Adriana Santanocito ed Enrica Arena, hanno brevettato un tessuto ricavato dalle bucce d'arancia con cui realizzare abiti vitaminici che rilascino addirittura i loro principi attivi sulla pelle.

La Sicilia da sola produce il 25% delle arance italiane e 700 mila tonnellate all'anno di scarto: da qui è nata l'invenzione di Adriana, valida anche per tutti gli altri tipi di agrumi. Dopo l'anteprima all'Expo Gate di Milano dell'anno scorso Enrica ha affermato: "Ci auguriamo di essere sul mercato con una prima collezione già nel 2015. L'idea piace e il mondo della moda è alla ricerca di novità".

Rielaborazione FreshPlaza da varie fonti.
Data di pubblicazione: