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Paolo Bruni: ortofrutta italiana all'estero, ma solo con prodotti di qualita'

Una chiacchierata a tutto tondo con Paolo Bruni (nella foto accanto), presidente del CSO-Centro servizi ortofrutticoli di Ferrara, sulle tante sfaccettature del settore ortofrutticolo nazionale.

FreshPlaza (FP) - In uno scenario di possibile penuria alimentare nel futuro, ritiene che i prezzi di frutta e verdura siano destinati a risentirne?

Paolo Bruni (PB) - E' molto difficile fare previsioni sull'evoluzione dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli in un prossimo futuro. Va evidenziato che le produzioni di frutta e, soprattutto, verdura nel tempo si sono sempre rapidamente adeguate alla crescita demografica e che la dinamica dei prezzi è sì strettamente legata al rapporto domanda-offerta, ma anche alle condizioni economiche delle popolazioni. Chiaramente, se all'aumento della popolazione corrisponderà anche una crescita economica e un'adeguata capacità di spesa sarà più facile orientarsi verso produzioni di qualità a più alto valore aggiunto. Se, al contrario, all'aumento demografico non corrisponderà una altrettanto aumentata capacità di spesa, i prezzi non cresceranno.

FP - Le politiche di auto-approvvigionamento dei paesi emergenti potranno compromettere la posizione dell'Italia quale paese esportatore?


PB - E' abbastanza evidente che la nostra posizione in un mercato sempre più globale non sarà facile; d'altra parte, tutto il sistema economico mondiale diventa sempre più complesso. Anche l'auto-approvvigionamento dei paesi emergenti può rappresentare un problema, ma solo sulle produzioni di massa.

Le produzioni locali stanno crescendo in tutta Europa generando fenomeni impensabili fino a qualche anno fa e sottraendo spazio alle tradizionali importazioni: si pensi, ad esempio, alle serre di ortaggi nel Regno Unito, in Germania e nei paesi dell'Est. L'Italia però ha ancora molte carte da giocare su produzioni di qualità tipiche che, se ben promozionate e comunicate possono affermarsi nel mondo: pere Abate, pesche e nettarine, arancia rossa, uva da tavola, ciliegino di Pachino, radicchio di Treviso sono solo alcuni degli esempi di eccellenze italiane che hanno le carte in regola per affermarsi sui mercati esteri.

L'Italia potrà continuare ad avere un proprio spazio e ruolo nei mercati emergenti se sarà in grado di trasferire anche nel settore ortofrutticolo l'unicità della qualità e della tipicità associate ai valori che caratterizzano oggi il Made in Italy e di comunicarlo adeguatamente. Il fenomeno Eataly nel settore agroalimentare sta a dimostrare quali e quante siano le opportunità nel mondo anche in momenti di forte crisi.

FP - Europa: eccesso di offerta o consumi troppo bassi di ortofrutta?


PB - Non direi un eccesso di offerta "tout court", piuttosto un eccesso di "offerta incontrollata e disorganizzata" che spinge i prezzi al ribasso e contribuisce ad aggravare una situazione già abbastanza difficile a causa della diminuita capacità di spesa dei consumatori e dal clima di sfiducia nel futuro.

Per quanto riguarda i consumi, uno dei rischi più grandi per il nostro settore in questo momento è la distruzione del valore del prodotto ortofrutticolo. La reazione di alcune realtà della moderna distribuzione alla crisi economica sta purtroppo portando alla distruzione della catena del valore. La forte spinta sui primi prezzi, l'offerta di prodotto di qualità scadente e la forte pressione promozionale unita alle vendite sottocosto, danno al consumatore una percezione sbagliata del valore dei prodotti e rischiano di creare disaffezione, con relativo calo dei consumi.

FP - Si dice che, nel commercio ortofrutticolo, prima che al prodotto bisognerebbe guardare al mercato e al consumatore. Lei nota dei cambiamenti in questo senso?

PB - Sicuramente sono stati fatti grandi passi avanti rispetto al passato, ma sono ancora pochi rispetto a un moderno approccio al mercato da parte del mondo ortofrutticolo.

Stanno crescendo gli esempi di aziende marketing oriented, il cui successo potrà essere un valido riferimento anche per altre del settore. Molte delle nuove produzioni e soprattutto delle innovazioni varietali vanno verso questa direzione ma in molti casi manca la capacità di completare il percorso con adeguate politiche di marketing. Cambio di mentalità e maggiore orientamento al mercato sono infatti necessari per la crescita delle nostre imprese e per la loro competitività.

FP - Qual è la più grande minaccia per il business ortofrutticolo?

PB - Le minacce sono molteplici. Senz'altro uno dei nostri punti di debolezza è la mancanza di concentrazione dell'offerta e una mentalità non ancora adeguata ad affrontare il mercato globale. Più in generale, vanno osservate con preoccupazione le politiche protezionistiche di diversi paesi nel mondo, l'incognita relativa alla capacità produttiva di molti paesi emergenti e soprattutto l'enorme competitività dovuta a costi di produzione molto inferiori che creano forti sperequazioni sul mercato.

Va inoltre sottolineata la mancanza di regole valide per tutti sia per quanto riguarda le caratteristiche qualitative che l'utilizzo dei fitofarmaci, o lo sfruttamento della manodopera in certi paesi del globo.

FP - I costi logistici continueranno ad aumentare?

PB - I costi logistici dipendono oggi da molti fattori e per alcuni di essi - come ad esempio il prezzo del petrolio, che incide fortemente sui trasporti su gomma - è difficile fare previsioni. Sicuramente la rapidità dello sviluppo tecnologico e lo studio di nuove forme di organizzazione e gestione dei magazzini di stoccaggio, lavorazione e distribuzione con diminuzione dei costi della manodopera potranno favorire il contenimento dei costi, ma occorrono investimenti importanti nella filiera che solo imprese di grandi dimensioni saranno in grado di effettuare.

Un ulteriore risparmio potrà venire ad esempio dallo sviluppo di sinergie logistiche e commerciali tra produzione e distribuzione: vale a dire maggiore programmazione degli acquisti e delle vendite, razionalizzazione dei trasporti (carichi completi e automezzi pieni) con la riduzione e concentrazione del numero dei fornitori e robotizzazione dei centri distributivi della Gdo, come sta già avvenendo in alcune realtà del nord Europa.

FP – Si parla anche della necessità di eliminare i passaggi inutili nella filiera: quali, a suo avviso, sono passaggi inutili?

PB - Per quanto mi riguarda ritengo che il modello cooperativo, quello sano e organizzato, capace di dialogare direttamente con la moderna distribuzione internazionale, sia la vera filiera corta, così come lo sono i farmer’s market e gli spacci aziendali che si stanno ulteriormente sviluppando, avvicinando così culturalmente produttori e consumatori. Purtroppo, la polverizzazione dell'offerta e la mancanza di organizzazione favoriscono intermediazioni e altri inutili passaggi commerciali che penalizzano ovviamente la parte più debole della filiera stessa, vale a dire il produttore.

E' necessario un nuovo modello di sistema per aggregare l'offerta e creare distretti produttivi omogenei e specializzati in grado di dialogare direttamente con i moderni canali distributivi e quindi con il consumatore. Rimane comunque prioritario l'obiettivo di conquistare nuovi mercati esteri.

FP - Art. 62: in molti si chiedono come procedano i controlli, se ci sono, da parte dello Stato. Sembra infatti che non tutti rispettino le regole.

PB - L'art. 62 ha portato sicuramente alcuni vantaggi: in primis la riduzione dei termini di pagamento, ma ha anche causato problemi alla produzione soprattutto per l'aggravio dei costi relativi alle procedure amministrative e per le onerose richieste di compensazione economica da parte della moderna distribuzione.

Da notare poi che, dopo una prima fase di assestamento e di rispetto delle regole, oggi abbiamo effettivamente notizia di richieste di allungamento dei termini di pagamento e di posticipazione della fatturazione da parte di clienti sia dei tradizionali sia dei moderni canali distributivi. E' pertanto necessario affinare lo strumento per raggiungere l'obiettivo che stava alla base dell'emanazione della legge.

FP - Quali aziende considera esempi da seguire nel settore dei freschi?

PB - Parlando di ortofrutta italiana credo che l'esempio del distretto delle mele del Trentino Alto Adige sia un modello da seguire: concentrazione dell'offerta, specializzazione, innovazione varietale, politica di marca e modello organizzativo cooperativo moderno, sono i principali fattori di successo.

Da rilevare anche la capacità di guardare oltre, nonostante i successi ottenuti e sviluppare ad esempio mercati nuovi ed emergenti con una unica strategia commerciale e di marketing.

Nel panorama mondiale poi ci sono modelli molto interessanti che hanno vinto grazie a prodotti o strategie di vendita, ma l'ortofrutta ha caratteristiche particolari e non vedo modelli trasferibili tal quale. Per ottenere buoni risultati servono prodotti che incontrano le esigenze del consumatore, conservabili, facilmente trasferibili nel mondo, una bella storia da raccontare per facilitare la fidelizzazione del consumatore e un'organizzazione commerciale che aggreghi il prodotto e lo distribuisca in tutto il mondo, come ad esempio è il caso di Zespri.