Brevettata la terapia fagica al colpo di fuoco batterico del pero e del melo
I batteriofagi o fagi - com’è noto - sono virus patogeni per i batteri. Un fago litico virulento si attacca alla superficie della cellula batterica e le inietta internamente il proprio acido nucleico. L’infezione fa riprodurre il fago entro la cellula batterica, che va soggetta a lisi e muore.
Un fago virulento per E. amylovora, selezionato per alta capacità litica tra 29 fagi isolati in numerose località padane e friulane, ha causato lisi confluente di 22 ceppi virulenti di E. amylovora isolati da piante ospiti differenti in diverse località della Italia Settentrionale, incluse le province di Trento e Bolzano.
Foto qui a lato: Cancro su ramo di pero causato da Erwinia amylovora.
Per propagare il fago in laboratorio è stato usato un ceppo di Pantoea vagans, enterobatterio affine a E. amylovora, saprofita comune, vivente nella fillosfera di molte piante, isolato da un pero morto per colpo di fuoco. Il metodo prevede di applicare il preparato fagico sia in presenza che in assenza di infezioni di E. amylovora sulle piante ospiti di interesse; nel primo caso l’attività del fago consisterà nel prevenire o limitare infezioni di E.amylovora (bersaglio primario); nel secondo caso di infettare altri enterobatteri comunemente presenti nella fillosfera delle piante, in particolare ceppi P. vagans (bersagli secondari). Di fatto, un fago riesce ad infettare individui di specie batteriche tassonomicamente affini a quella usata per l’isolamento primario; propagandosi su altri enterobatteri, il fago proposto per la terapia può moltiplicarsi nella fillosfera nelle stesse nicchie di E. amylovora ed essere pertanto disponibile ad infettare anche le cellule del patogeno colà occasionalmente immigrate. Nel preparato conservato in un comune frigorifero a 4C °, il fago può sopravvivere almeno un anno. I fagi non sono nocivi per l’uomo e per gli animali.
La proprietà del fago selezionato di infettare bersagli secondari e perpetuarsi in tal modo naturalmente nell’ambiente evita o riduce la necessità di trattamenti ripetuti. Il fago diviene fattore duraturo di lotta integrata per contenere le popolazioni di E. amylovora e ridurre la pressione di malattia. Si risolve così il problema della bassa sopravvivenza dei fagi esposti agli stress abiotici ambientali (es. pH, t°C e soprattutto radiazioni ultraviolette, particolarmente tra 200-400 nm), principale ostacolo all’uso dei fagi nella lotta alle batteriosi delle piante in pieno campo; per quest’ultimo motivo si consiglia di effettuare i trattamenti con i preparati fagici poco prima del tramonto. Durante la stagione vegetativa la bagnatura di rugiada durante la notte favorisce l’incontro delle particelle fagiche con le cellule batteriche. I fagi associati ai batteri potranno penetrare passivamente all’interno dei tessuti vegetali all’alba, al momento di apertura degli stomi (si veda: Mazzucchi U., Batteri e prodotti ortofrutticoli: analisi dei rischi di contaminazione all’interno dei tessuti vegetali, FreshPlaza 13/02/2013). Protetti dalle radiazioni solari i fagi sopravvivono bene nel terreno.
Gli autori della ricerca spiegano: "Il nostro fago selezionato può essere usato nei parchi e nei giardini (es. cespugli di cotognastri), sulle siepi (es. biancospini, photinie), sulle bordure (es. agazzini), in frutteto (es. peri, meli, cotogni, nespoli) o in vivaio su tutte le piante ospiti di E. amylovora, in pieno campo o in ambiente protetto. Il fago associato al terreno del pane di terra o aderente al colletto o alle radici degli astoni da trapiantare può essere così trasferito passivamente nel nuovo impianto come potenziale, futuro antagonista di E. amylovora."
Il preparato fagico è oggetto della domanda di brevetto MO2013A000117 depositata da Alma Mater Studiorum-Università di Bologna all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi-UIBM.
Per informazioni contattare:
Ufficio Trasferimento Tecnologico
Università di Bologna
Email: [email protected]
Gli autori:
Antonio Mazzucchi, dottore in Scienze Agrarie, Consulenze Fitopatologiche VPS s.r.l. di Castel San Pietro Terme (Bo); Carla Lucchese, tecnica laureata del Dipartimento di Scienze Agrarie della Università di Bologna; Umberto Mazzucchi, ex professore ordinario di Patologia Vegetale della Università di Bologna. Gli autori hanno contribuito in ugual misura al lavoro.