Fipe: famiglie a dieta con la crisi
Gli ultimi dati sul commercio al dettaglio danno conto di una situazione di forte sofferenza delle vendite nel nostro Paese che non risparmia neppure i consumi alimentari. È quanto si legge in una elaborazione del centro studi Fipe, la federazione italiana dei pubblici esercizi aderente a Confcommercio-Imprese per l'Italia, sui prezzi al consumo del mese di settembre pubblicati dell'Istat. La riduzione ha interessato tutte le categorie merceologiche a cominciare dal binomio pane-pasta, carne e formaggi scesi rispettivamente del 10%, dell'8% e del 9,9%. Solo su queste tre voci i tagli valgono oltre 6,6 miliardi di euro.
Anche i prodotti "salutistici" come frutta e vegetali sono stati colpiti pesantemente dalla crisi. Nel primo caso la riduzione è di 759 milioni di euro, nel secondo di 835 milioni di euro. E neppure acqua, bibite e succhi escono indenni da questo tsunami dell'agroalimentare, forse per una riscoperta dell'acqua del sindaco che, sebbene continui a non essere proprio economica, permette ancora di fare economie.
Nei consumi fuori casa la perdita è di 313 milioni, significativa ma pur sempre contenuta rispetto a quanto si registra all'interno delle mura domestiche e tuttavia sufficiente a smontare la tesi che vorrebbe un recupero del consumo domestico a scapito dell'extra-domestico.
Sulla base dei dati fin qui disponibili per un confronto della dinamica dei consumi alimentari in Europa a cavallo della crisi si rileva che la situazione italiana costituisce, insieme al Regno Unito, un'eccezione. Tra il 2007 ed il 2010 mentre nei paesi dell'area euro i consumi alimentari in casa crescevano ad un tasso medio dello 0,2, da noi calavano del 2%. Nei consumi fuori casa, seppure in un contesto di generale contrazione, risultiamo i più virtuosi con un decremento medio annuo dello 0,5% a fronte di un valore che nell'area euro è stato del -2%. A livello di singoli Paesi registriamo il -4,6% della Spagna, il -2,1% del Regno Unito e il -0,8% della Francia.