Immigrati: per l’agricoltura sono una grande risorsa
Poco più della metà degli immigrati (53,8%) - ricorda la Cia - è impiegato nella raccolta della frutta e nella vendemmia; un terzo (29,9%) nella preparazione e raccolta di pomodoro, ortaggi e tabacco; il 10,6% nelle attività di allevamento; il 3,2% al florovivaismo e il restante 3,5% in altre attività come l’agriturismo o la vendita dei prodotti.
Per tunisini, indiani, marocchini, albanesi e pachistani il lavoro nei campi è ancora e soprattutto al Nord Italia - continua la Cia - in particolare in Trentino (27%), Emilia-Romagna (12,7%) e Veneto (10%). Percentuali elevate si registrano comunque anche nel Sud, prima di tutto in Campania (10%), Puglia (9%) e Calabria (7,5%).
Ma il dato forse più rilevante - che rende chiaro l’altissimo livello di qualificazione e di specializzazione raggiunto dagli immigrati nel settore primario, e in particolare nei comparti delle colture arboree e ortive - è la costante crescita del numero di imprese agricole a titolarità extracomunitaria: oggi sono circa 7.000, in pratica l’1,5% del totale delle aziende del settore.
Purtroppo, ancora adesso la "risorsa immigrazione" non è pienamente valorizzata: colpa di quei meccanismi istituzionali - legislativi e amministrativi - che rendono farraginoso il processo di inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro italiano. I dati, elaborati dal ministero dell’Interno, parlano chiaro: nel 2010, su ben 103.473 domande di nulla osta presentate allo Sportello unico per l’immigrazione i nulla osta rilasciati sono stati soltanto 32.355. L’enorme divario tra domanda presentate e domande evase - sottolinea la Cia - è in gran parte addebitabile all’eccessiva lunghezza del procedimento amministrativo (dai 4 agli 8 mesi) che, molto di frequente, fa decadere l’interesse dell’azienda, oggettivamente impossibilitata a effettuare l’assunzione nel periodo stagionale necessario.
Un problema non di poco conto - conclude la Cia - visto che si tratta di lavoratori immigrati fondamentali per l’agricoltura nazionale, che non si sostituiscono a quelli italiani ma vanno a coprire proprio quei fabbisogni di manodopera altrimenti lasciati scoperti.