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Intervista a Tiberio Rabboni sulla nuova PAC e sulle sfide del settore ortofrutticolo

Lo scorso 12 ottobre 2011, la Commissione europea ha esposto ufficialmente il pacchetto di iniziative che, da qui al 2013, contribuiranno alla riforma della Politica agricola comune (PAC).

Perplessità e commenti negativi non sono mancati e, su più fronti, la prima impressione raccolta è la non coerenza tra le parole e il testo. Lo stesso presidente della Commissione agricoltura, Paolo de Castro, ha dichiarato: "Sembra che fra i concetti come mercato, flessibilità, competitività e semplificazione - esigenze del tutto condivisibili - e il testo presentato non ci sia troppa coerenza”.

FreshPlaza ha intervistato in merito Tiberio Rabboni (in foto), assessore all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna.

FP – Assessore Rabboni, qual è la sua prima valutazione sule linee guida della nuova PAC?

TR - Le attese della vigilia sono state purtroppo deluse, soprattutto quelle italiane. Il nuovo impianto prevede che gli aiuti diretti agli agricoltori vengano in futuro erogati sulla base degli ettari posseduti e non del valore delle produzioni realizzate. Per l’Italia questo significa una perdita di risorse tra il 6 e il 7%. Un taglio inaccettabile per un Paese che già oggi in termini finanziari dà all’Unione più di quello che riceve e che contribuisce più di altri alla produzione agricola europea. La superficie agricola italiana rappresenta appena il 6,33% di quella europea, ma il valore della sua produzione è invece pari al 12,63%. Per quale motivo deve contare la prima percentuale e non la seconda?

La sfida dei prossimi anni è la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Questo chiede un profondo rinnovamento dei modelli produttivi per fare di più con meno. Si tratta di ridurre il fabbisogno di acqua, di energia, di chimica e di distruzione di biodiversità e terreno fertile ma, contemporaneamente, di usare le risorse pubbliche disponibili per sostenere l'aumento della produzione, la competitività delle filiere agroalimentari, il valore aggiunto prodotto. Esattamente il contrario di ciò che oggi propone Bruxelles che, oltre a premiare la proprietà e non la produzione, delude anche le aspettative di nuove ed efficaci politiche di mercato, di contrasto alla volatilità dei prezzi internazionali, di maggiore equità nella distribuzione del valore nelle filiere alimentari e di sostegno alle produzioni di qualità.

Naturalmente nella proposta ci sono anche aspetti apprezzabili, ma il segno generale è quello che ho detto.

FP - Ci sono ancora spazi di manovra per intervenire su alcuni aspetti della PAC? E, se è così, quando potranno dirsi "chiusi i giochi"?

TR - C'è un anno di tempo ma gli spazi sono ristretti. La proposta della Commissione riflette evidentemente gli interessi di una larga platea di Stati europei che si sono mossi per tempo per orientare le scelte di Bruxelles. Bisogna agire su una parte di questi paesi mettendo in campo le motivazioni giuste e la determinazione delle grandi occasioni, ma soprattutto due supporti: il Parlamento europeo e l'interesse degli altri governi europei al voto favorevole dell’Italia sul bilancio generale della UE. Una contropartita da negoziare con determinazione ai più alti livelli istituzionali.

FP - La OCM del settore ortofrutticolo, modello virtuoso anche se perfettibile, è minacciato o favorito dalla futura riforma PAC?

TR - La Commissione indica esplicitamente nelle OP ortofrutticole un modello positivo di organizzazione della produzione e di concentrazione dell'offerta da estendere a tutti i comparti agricoli, a partire da quello del latte. La nuova PAC confermerà l'attuale regolamento ortofrutticolo. La specifica discussione per la revisione dell'OCM del comparto è tuttavia prevista per la fine del prossimo anno. Solo allora capiremo se, al di là della valutazione che ho riferito, la Commissione vorrà rafforzare realmente l'OCM, accogliendo le richieste delle rappresentanze europee e dell'Areflh.

Personalmente credo che nuova PAC e OCM debbano rispondere a quattro questioni assolutamente improrogabili, soprattutto per l'ortofrutta fresca estiva deperibile: l'inadeguatezza degli strumenti europei per la gestione delle crisi di mercato e in particolare l'assoluta inefficacia dei ritiri di prodotto gestiti dalle singole OP senza raccordo tra loro e senza il coinvolgimento dei produttori non associati; le assicurazioni sul reddito e i fondi mutualistici; standard qualitativi e fitosanitari unici per tutti i 27 paesi europei; norme europee e nazionali per la disciplina dei rapporti commerciali tra Gdo e produttori, sull'esempio della recente legge francese che obbliga a contratti scritti triennali.

FP - Al di là degli scenari europei, cosa ritiene sia prioritario affrontare da parte delle aziende del settore ortofrutticolo nazionale?

TR - Quattro cose: l'ottimizzazione dei costi di produzione nelle filiere produttive e commerciali per dimensione dei volumi trattati e per caratteristiche dei mercati di sbocco; un cabina di regia o un osservatorio di autoregolamentazione tra OP e grandi operatori privati per l'immissione sui mercati di quantità, qualità e calibri di prodotto corrispondenti alle effettive dinamiche di domanda in corso; linee guida nazionali per l'innovazione varietale e la conversione o l'eradicazione delle varietà oggettivamente obsolete; una forte campagna per aumentare le aziende agricole in OP o promotrici di nuove OP.

FP - Per quali aspetti di politica agricola la Regione Emilia-Romagna potrebbe essere presa a modello per la realtà comunitaria?

TR - Per l'attenzione che dedichiamo costantemente alla qualità delle produzioni, ai territori di produzione e alla competizione sui mercati internazionali.