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Di Rossella Gigli

"Iniziative inutili e dannose: la questione delle "food miles" importata in Italia"

Sulle nostre pagine abbiamo già affrontato in altre occasioni la questione delle "food miles", cioè il dibattito scatenatosi in Inghilterra sulla sensatezza o meno di segnalare con speciali etichette i prodotti ortofrutticoli importati via aerea, "marchiandoli" come meno sostenibili dal punto di vista ambientale, in base ad una presunta maggiore immissione di anidride carbonica nell'atmosfera da parte di un volo aereo, rispetto al trasporto navale o su gomma.

La questione, sollevata a suo tempo dalla Soil Association - cioè dal principale organismo di certificazione per i prodotti bio venduti in Gran Bretagna - è stata infine considerata dallo stesso Governo inglese come potenzialmente dannosa e pregiudizievole nei confronti dei paesi importatori del Terzo Mondo, costretti per forza ad impiegare il trasporto aereo nella distribuzione dei propri prodotti agricoli. La già fragile ripresa economica di molti paesi terzi - si è concluso - sarebbe compromessa da un generalizzato "bando" ai prodotti trasportati via aerea (vedi articolo correlato).

Tra l'altro, da recenti indagini condotte proprio in Gran Bretagna, è emerso che l'applicazione della speciale etichetta per connotare i prodotti importati - misura adottata dalla principale catena di distribuzione britannica, cioè Tesco - non ha modificato in misura sensibile il comportamento d'acquisto da parte dei consumatori.

Purtroppo in Italia le informazioni su questi temi sembrano arrivare sempre in ritardo, specialmente nelle sedi istituzionali, che sono deputate a decidere del futuro di interi settori produttivi. Capita così di apprendere oggi dai giornali che l'assessore all'agricoltura della Regione Toscana è pronto ad applicare quello che già in Gran Bretagna è risultato inutile e dannoso: inserire etichette che certifichino quanta anidride carbonica è stata immessa nell'atmosfera, per realizzare e trasportare un certo prodotto.

Ci domandiamo, come facemmo già all'epoca per la questione sollevata dalla Soil Association, chi mai potrà misurare in modo scientificamente ineccepibile tali emissioni, scorporando dal calcolo anche tutto l'ossigeno immesso nell'atmosfera dalle piante dalle quali i prodotti stessi derivano.

Rimane poi anche un'altra fondamentale domanda: siamo sicuri che l'Italia, un paese che avrebbe bisogno di esportare le proprie produzioni agricole molto più di quanto non faccia oggi, possa permettersi di sostenere teorie che vanno in direzione esattamente opposta allo sviluppo delle esportazioni?