"Per il perseguimento di una tracciabilità maggiormente garantita - ha spiegato Rapisarda - il CREA si è avvalso di tecniche di indagine innovative quali la spettrometria di massa isotopica, l'analisi multielementare degli elementi in tracce, l'analisi di spettroscopia nel vicino infrarosso, l'analisi di caratterizzazione metabolomica e di strumenti genetici, con particolare riferimento ai marcatori molecolari a singolo nucleotide e di regioni del genoma, per l'ottenimento di un fingerprinting da utilizzare quale strumento di classificazione e verifica dell'origine e della tipicità. L'applicazione di approcci chemometrici di analisi statistica multivariata ha consentito inoltre di validare la robustezza del sistema di tracciabilità d'origine".
"Oggi parlando di tracciabilità si fa riferimento esclusivamente a quella documentale - ha detto la ricercatrice - ovvero una tracciabilità di filiera che documenta la storia del prodotto dal campo alla tavola. Quel che manca è la tracciabilità chimica mediante dei 'marker' che indichino il territorio di origine e che ci possano permettere di differenziare il prodotto in base all'origine geografica".
"A tal fine, abbiamo portato al tavolo tecnico regionale come possibile soluzione - ha continuato Amenta - l'inserimento in etichetta anche della provenienza geografica del frutto (ad esempio, il marchio di 'succo di arancia qualità sicura Sicilia'). La discriminante, inoltre, verrebbe data dall'inserimento dei 'marker' chimici nel disciplinare di produzione per permettere di identificare l'areale di origine. Si tratta di soluzioni che sono state ampiamente studiate e trasferite agli organi di controllo, sebbene non ancora assimilati al patrimonio procedurale di questi ultimi".
"Sarebbe estremamente utile implementare banche dati a sostegno dei sistemi di controllo e certificazione delle coltivazioni con il metodo dell'agricoltura biologica, oltre che finalizzate al miglioramento della tracciabilità documentale. Allo stato è l'unica forma di tracciabilità effettivamente riconosciuta e richiesta dal reg. 834 del 2007. Pensiamo però a una tracciabilità che ha un approccio di tipo multivariato, comprendente l'analisi di numerosi parametri chimici tra cui chiaramente la variabilità isotopica".
"Sul tema della tracciabilità – ha detto Argentati - il Distretto Agrumi di Sicilia, le organizzazioni di categoria Cia Sicilia, Confcooperative Sicilia, Confagricoltura Sicilia, Confagri e i Consorzi di tutela delle produzioni agrumicole siciliane d'eccellenza DOP, IGP e Bio, hanno già consegnato un documento in più punti lo scorso 18 gennaio all'ex ministro dell'Agricoltura Martina e all'allora sottosegretario Castiglione. Indicazioni che adesso ci auguriamo l'assessore regionale all'Agricoltura Bandiera porti al cospetto del nuovo ministro dell'Agricoltura, Centinaio".
"In quei documenti – prosegue Argentati – abbiamo fatto presente per l'ennesima volta la necessità di dare corso innanzitutto a un sistema di tracciabilità ed etichettatura del prodotto trasformato e di varare un piano di settore nazionale per tutto il comparto agrumicolo. Il Distretto è sempre stato favorevole al 100% di succo siciliano nelle bibite. Si potrebbe fare prima di tutto con i marchi di eccellenza IGP, DOP e BIO, ma quanti hanno davvero voglia di tracciare il succo? Pochissimi. Molti hanno sbarrato la strada. Perché quell'accordo di filiera, che conteneva anche un modello di contratto tra produttori e trasformatori, non ha avuto ancora seguito? Quell'accordo, su spinta dell'assessorato regionale, permetterebbe anche di incentivare la tracciabilità delle nostre produzioni, per esempio si potrebbero utilizzare i fascicoli aziendali per monitorare e tracciare le nostre produzioni. Nessuno davvero conosce qual è la superficie agrumetata in Sicilia: quanta è coltivata ad arance, quanta a limoni o ad altri agrumi, quali i quantitativi delle diverse varietà. Con le tecnologie digitali, annotare queste informazioni sui fascicoli aziendali sarebbe semplice e permetterebbe di avere facilmente il quadro della nostra produzione: sapere quanto produciamo e quanto ne trasformiamo".
"Per il Distretto – ha concluso Argentati - la tracciabilità è una conditio sine qua non, ma non appesantiamo le aziende di burocrazia, facciamo comunicazione, sosteniamo di più i consorzi di tutela, anche economicamente, perché è necessario investire sui marchi collettivi di qualità, valorizzando anche quelli privati a cui le aziende non rinunceranno mai. Il Distretto insiste da anni su questi temi, come anche sulla diffusione delle spremiagrumi automatiche e la conseguente tracciabilità del prodotto fresco per rifornirle. Il compito istituzionale del Distretto è valorizzare e fare sistema nel comparto agrumicolo e non ci stancheremo di fare presenti in tutte le sedi queste istanze".
"Vi è inoltre l'esigenza di una etichettatura leggibile e facilmente comprensibili da parte del consumatore - ha spiegato il direttore dell'antifrode - Nominare, per fare un esempio, un prodotto a base di succo di arancia rossa per poi leggere tra gli ingredienti che vi è solo l'un percento di succo di arancia rossa e l'11% di succo biondo, è fuorviante e non corretto".
A dare un quadro normativo sui temi affrontati è stato Giovanni La Via, europarlamentare, il quale ha spiegato come a livello comunitario si definisca la cornice legislativa dalla quale poi derivano i decreti legislativi e di attuazione delle norme nazionali tesi a regolamentare la tracciabilità e l'etichettatura dei prodotti ortofrutticoli.