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Il commento del perito agrario Leonardo Fornario

Coltivazione del pomodoro da industria: primato nazionale per la provincia di Foggia

Il pomodoro al sud Italia, e in particolare in Puglia, è da sempre una delle colture sulla quale si è sviluppato un notevole interesse e indotto, sia diretto che indiretto. Attraverso tavoli di concertazione e incontri tra i vari attori della filiera e organizzazioni di categoria si arriva a indicare il prezzo del pomodoro da industria prima ancora dell'inizio della stagione; questo, da un lato, può apparire positivo poiché l'industria garantisce il ritiro e l'acquisto della produzione; dall'altro, però, fa svolgere alla stessa un ruolo di primissimo piano e quasi decisionale nella formazione del prezzo stesso.



Il pomodoro trova le sue migliori condizioni di sviluppo laddove le estensioni terriere sono ampie, con una discreta disponibilità della risorsa idrica accompagnata da un'ampia fase diurna che garantisce un numero di ore di luce indispensabili alla giusta maturazione. L'intera Puglia dedica mediamente 20.000 ettari alla coltivazione del pomodoro ma, del territorio regionale, la zona con la più alta superficie dedicata a tale coltura è la provincia di Foggia che da sempre ormai si è aggiudicata tale primato a livello nazionale.

Infatti, il 30-40% del pomodoro italiano proviene proprio dalla Capitanata con 3.000 produttori su una superficie di 17.000 ettari (una media di 5,66 ettari per ogni produttore), una produzione di 2 milioni di tonnellate e una Produzione Lorda Vendibile di circa 175 milioni di euro (una media di 87,5 euro/ton). Dati ragguardevoli se confrontati al resto d'Italia con i suoi 5,5 milioni di tonnellate di produzione e i 95.000 ettari di superficie investita.



"Al primato produttivo e di coltivazione della provincia di Foggia, però - riferisce a FreshPlaza il perito agrario Leonardo Fornario - non corrisponde il primato per la presenza di industrie di trasformazione, poiché la maggior parte degli stabilimenti, su un totale di 223, sono altrove: 134 n Campania e 32 in Emilia Romagna, i restanti 57 sono da dividere tra Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Molise. Il consumo medio pro-capite è di 35 kg annui, considerando ciò che viene consumato sia in casa che fuori (in ordine di consumo e preferenze di prodotti: passate, polpe, pezzi, pelati e concentrati)".

Di tutta la produzione dei derivati, il 60% viene destinato al mercato estero; ciononostante il mercato italiano è capace di importare 80.000 tonnellate di concentrato di pomodoro dalla Cina per essere rilavorate e commercializzate sia in Italia che all'estero. A quest'ultimo dato si collega ovviamente il discorso inerente l'origine dei derivati: recentemente è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio 2018 il DM 16.11.17 che obbliga l'indicazione dell'origine del pomodoro in etichetta, in vigore dal 26 agosto 2018, con facoltà per gli operatori di smaltire i prodotti confezionati entro tale data con etichette a esso non conformi (vedi news correlata).



Un'analisi territoriale rispetto ai tipi di pomodoro da industria coltivati in Capitanata (lungo, tondo e piccolo da mensa) assegna il primo posto in classifica al pomodoro lungo con il 55% (varietà: Taylor, Docet, Komolix e Ulisse), seguito dal tondo con il 35% (varietà: Vulcan, Impact, H3402, Syngenta e Pietra Rossa) e dal pomodoro piccolo detto pomodorino da mensa tipo ciliegino e datterino con il 10%.

"Oltre che combattere contro una politica dei prezzi molto al ribasso - spiega Fornario - i produttori sono attanagliati anche dai problemi inerenti le patologie che colpiscono le piantagioni, il rischio maggiore riguarda le virosi del pomodoro che, qualora presenti in campo, avrebbero come unica soluzione quella della estirpazione totale dell'intera piantagione del campo colpito, per evitare contaminazioni ai campi confinanti e oltre".

Da sottolineare inoltre le patologie batteriche, fungine e da insetti altrettanto gravi e difficili da gestire e debellare: orobanche (pianta parassita), eriofide rugginoso (acaro), marciume apicale detto comunemente il marciume del "culo nero" che attacca direttamente il frutto, il marciume del colletto riguardante lo stelo della pianta a livello del terreno. Questi ovviamente sono solo alcuni dei numerosi problemi che affliggono i produttori di pomodoro.



Alcuni per ottenere un reddito più alto vendono il proprio raccolto direttamente a mercati ortofrutticoli, piccoli centri di stoccaggio e dettaglianti, dai quali ottengono un prezzo decisamente più alto rispetto a quello concesso dalle industrie. "Tutto ciò - continua Fornario - presuppone però una cura e un'attenzione maggiore sia durante il ciclo colturale sia nella fase di raccolta poiché l'acquirente in questo caso pretende, giustamente, un prodotto magigormente selezionato e migliore anche da un punto di vista estetico".

Il comparto nella sua totalità presenta una notevole organizzazione, la quale tuttavia a conti fatti non apporta grandi benefici ai produttori, che per loro natura sono la parte più debole della filiera.



Pratiche aziendali e usanze popolari

"Una caratteristica del territorio e delle campagne del Tavoliere delle Puglie degna di nota non solo da un punto di vista produttivo ma anche estetico - conclude Fornario - è la cosiddetta pratica della salsa fatta in casa durante la quale anche più famiglie si riuniscono per trasformare il pomodoro coltivato nei propri appezzamenti, creando le scorte per l'inverno. A livello aziendale, invece, percorrendo le campagne si assisteva un tempo a enormi spiazzali o terreni incolti adibiti all'essiccazione del pomodoro sotto sole e sotto sale, che in seguito all'avanzare di sistemi di essiccazione industriali si è andata via via perdendo".

Contatti:
Leonardo Fornario - perito agrario
Email: leonardo.fornario@libero.it