Prof. Costa: la creazione di microclimi controllati puo' essere d'aiuto nella lotta alla batteriosi
Qui accanto: il Prof. Costa durante Agri kiwi Expo.
Quello che è emerso finora dalle sperimentazioni in campo è che le coperture plastiche possono essere d'aiuto: "Meglio riusciamo a fare la copertura e migliori sono i risultati che si ottengono. Una copertura ben realizzata, infatti, consente la creazione di un vero e proprio microclima nel quale allevare le piante", spiega il professore.
E' da dire che effettuare delle ricerche sulle coperture non è semplicissimo, perché sono molte le variabili in gioco. Inoltre, andare a valutare il comportamento di un batterio è sempre un compito molto arduo.
D'altra parte, alcuni dei primi risultati ottenuti sembrano promettenti: in situazioni in cui il campo di kiwi colpito da batteriosi viene suddiviso in parti coperte o non coperte, la protezione fornita da film plastici si è rivelata fin qui quella più efficace al contenimento della malattia. Ma non possiamo ancora parlare di dati scientifici acquisiti in via definitiva.
Telo Oroplus su impianto di kiwi giallo Dorì.
"Certamente la batteriosi e non è più come all'inizio, quando il coltivatore non sapeva proprio come agire o in che direzione muoversi per salvare le sue piante. Quando questo problema apparve, tutti diedero il kiwi per spacciato. Invece oggi c'è un nuovo entusiasmo tra i coltivatori, con l'introduzione di nuove cultivar gialle e rosse. E se pensiamo a quanto i kiwi rossi siano suscettibili alla batteriosi, per esempio, si capisce che il settore non ha perso il proprio ottimismo".
Quello che si può dire al momento, da un punto di vista empirico, è che chi non copre i propri vigneti di kiwi, sicuramente risulta più esposto alla problematica della batteriosi. Pertanto anche se la copertura costituisce un costo, tutto poi dipende dal rapporto tra costo e beneficio.
Marco Scortichini e Gianni Tacconi durante Agri kiwi Expo.
Sul tema delle coperture, anche un batteriologo come il dott. Marco Scortichini si dice convinto che possano costituire una soluzione: soprattutto dopo aver visitato in prima persona un impianto realizzato in Cile, su piante già malate. "Nonostante l'impianto fosse molto rudimentale, i tempi di recupero dichiarati dai cileni sono sorprendenti. Si parla di circa 8 mesi-1 anno per ottenere un regresso della fitopatia. Io stesso come patologo - sottolinea Scortichini - non mi aspettavo di vedere un recupero così rapido di piante che erano già malate. Forse ciò dipende dal fatto che alla pianta arriva meno inoculo e dunque, a quel livello di aggressione da parte del patogeno, riesce a reagire con le proprie difese. C'è anche una diminuzione del tasso di bagnatura delle foglie, che certamente contribuisce. La visita in campo si è svolta lo scorso giugno e dai dati preliminari direi che siamo sulla strada giusta. Per chi deve effettuare grossi investimenti in questo settore vale la pena pensare alle coperture".
Installazione in Cile.
Il professor Costa conclude che al momento possiamo solo sperare di raccogliere tanti maggiori dati, quanto più si moltiplicheranno gli impianti coperti. La statistica disponibile oggi, infatti, non è su grandi numeri, ma potrebbe diventarla a breve il futuro.