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Le implicazioni economiche, politiche e commerciali

Inglesi piu' poveri dopo la Brexit: rischio calo dei consumi

L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea (Brexit), sancita dal referendum di giovedì scorso, avrà conseguenze anche per il settore ortofrutticolo. Alcuni effetti si vedranno già dai prossimi giorni, mentre altri emergeranno nei prossimi anni. Ne parliamo con alcuni addetti ai lavori.

Ilenio Bastoni, direttore di Apofruit Italia (con sede a Cesena), è preoccupato per il potere d'acquisto degli Inglesi. "La svalutazione di venerdì, con un crollo del 12 per cento, va a erodere il potere d'acquisto dei consumatori. Il rischio è che potrebbero diminuire i volumi esportati nel Regno Unito. Altre grosse conseguenze, per ora, non ne vedo. Dipende da come saranno affrontati i trattati d'uscita nei prossimi due anni. Non vorrei che la politica minasse ancora una volta il lavoro delle aziende, come accaduto con la questione della Russia".


Ilenio Bastoni

Il direttore sottolinea che per Apofruit la Gran Bretagna rappresenta il terzo Paese per volumi esportati. Al primo posto vi è la Germania, al secondo il complesso delle nazioni Oltremare, poi la Gran Bretagna, seguita a ruota dai Paesi Bassi. "I prodotti che esportiamo per lo più sono sono kiwi, pesche e nettarine, albicocche, susine e uva da tavola senza semi. Si tratta di un mercato storico, nel quale contrattiamo direttamente con la Gdo".

Anche Agrintesa ha stretti rapporti commerciali con il Regno Unito. "I contratti comunque sono tutti in euro - precisa Cristian Moretti, direttore della cooperativa di Faenza - e questo ci mette al riparo da sgradite sorprese. Se qualche azienda ha fatto contratti annuali, penso ad esempio nel settore dei trasformati, su base sterlina, allora venerdì scorso ha incassato il 12 per cento in meno a causa della repentina svalutazione".


Cristian Moretti

"Il rischio che la sterlina sia mantenuta debole è reale. E allora i consumatori acquisteranno meno per via della perdita di potere d'acquisto. Quello inglese è sempre stato un mercato dove la qualità veniva pagata. Pretendono molto, ma riconoscono il maggior lavoro. Con la svalutazione c'è il rischio che questo surplus legato alla qualità venga meno. Nel 2008, a inizio crisi, notammo una contrazione nei consumi".

Per il Sud Italia, esprime la preoccupazione degli operatori il presidente APEO (Associazione Pugliese Esportatori Ortofrutta), Giacomo Suglia, il quale riferisce: "Anche se la Gran Bretagna era e rimane un mercato di nicchia, la componente più interessante era quella della remuneratività ottenibile dalle nostre esportazioni (in particolare uva seedless); oggi il quadro è compromesso da una sterlina più debole".


Giacomo Suglia

Il presidente APEO nota anche: "Il contraccolpo maggiore, però, è quello sul sentiment del settore ortofrutticolo. Ci troviamo in una situazione in cui servirebbe ampliare i mercati e invece li vediamo contrarsi sempre di più. La Brexit si somma infatti a situazioni già difficili derivanti dall'embargo russo e dalle instabilità politiche nel Nord Africa".

Una politica europea da ripensare
Secondo alcuni degli operatori intervistati, la Brexit suona come un enorme campanello d'allarme per politiche comunitarie, che appaiono da ripensare profondamente. Suglia osserva: "La problematica dei flussi migratori ha pesato solo marginalmente sulla decisione britannica. Più di tutto ha giocato il difficile equilibrio tra la politica economica di un singolo Paese e le norme di austerity dell'UE, vissute come vincoli insostenibili".

Dello stesso avviso è anche il presidente di Confagricoltura Mario Guidi: "Il voto contro registrato nel Regno Unito è segno di un malessere generale e dell'incapacità di chiarire ai cittadini i costi della non Europa. Ora anche agli imprenditori agricoli del Regno Unito dovranno fronteggiare un improvviso cambiamento".

La Gran Bretagna riceve infatti il 7% delle risorse destinate alla politica agricola dall'Unione Europea e si posiziona al sesto posto nella classifica dei maggiori beneficiari nonostante sia al 13esimo posto come numero di aziende.

"Serve – ha proseguito Guidi - una profonda riflessione sugli errori di valutazione e di strategia commessi per riformare quei provvedimenti e quelle politiche, tra cui sicuramente la politica agricola e la politica commerciale comuni, che oggi non sono ben comprese anche perché non adatte alla realtà economica e sociale dei Paesi membri".

"Non si tratta solo di un problema contabile, quello da affrontare ora è un problema strettamente politico. Se non vogliamo che gli effetti del voto britannico si riflettano sul futuro stesso dell'Europa e se crediamo ancora in essa, come credono gli agricoltori italiani, va aperta una stagione riformista che consenta di migliorare gli indirizzi delle politiche europee e che permetta, ad imprese e cittadini, di credere, oggi come nel 1957, al futuro dell'Europa, che è, in fondo, anche il futuro dei nostri Paesi".

Un mercato comunque importante per l'agroalimentare italiano
A prescindere da frutta e verdura, va ricordato che il Regno Unito è per la cooperazione agroalimentare italiana il secondo mercato europeo per importanza dopo la Germania: sono stati oltre 600 i milioni di euro fatturati nel 2015, circa il 18% del totale delle esportazioni Oltremanica dei prodotti agroalimentari made in Italy.

Una piazza strategica in particolare per comparti come ortofrutta fresca e trasformata (200 mln di euro), vino (185 mln), latte e formaggi (80 mln) e salumi e carni fresche (oltre 70 mln).

Sono i dati sottolineati dal presidente dell'Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri, il quale ha dichiarato: "E' prematuro fare delle previsioni sulle ipotetiche conseguenze della Brexit, anche perché oggi si apre una fase di negoziazione con l'Unione europea che si protrarrà verosimilmente per un paio di anni. Nel frattempo, il mercato inizierà ad assestarsi verso il nuovo scenario.

"Molto dipenderà - ha continuato Mercuri – dal tipo di politica commerciale che sceglierà il Regno Unito. Se sarà orientata a un accordo di libero scambio con l'UE, occorrerà valutarne i termini: è da escludere l'apposizione di dazi, mentre bisognerà fare i conti con l'impatto di eventuali modifiche in merito al riconoscimento delle denominazioni di qualità. Un aspetto chiave per la cooperazione, che è leader in queste produzioni".