Disputa franco-olandese sullo scalogno: l'Italia nel mezzo?
Negli anni Novanta, le società olandesi De Groot e Bejo introdussero sul mercato due varietà di sementi denominate Ambition e Matador, per la riproduzione sessuata dello scalogno. Il 29 giugno 1995, dopo le prove pertinenti, i due tipi venivano ammessi, conformemente alla direttiva sementi, al catalogo dei Paesi Bassi quali derivati della specie allium ascalonicum L. – Echalote.
Negli ultimi cinque anni, lo scalogno tradizionale ha perso quote di mercato (tra il 10 e il 15%), di fronte alla svolta rappresentata dal prodotto ibrido. E anche per una buona ragione: lo scalogno tradizionale richiede 450 ore di lavoro per ettaro, contro le 50 necessarie per l'ibrido. Tempo di lavorazione che si fa sentire sulla quantità prodotta e sul prezzo; quindi sulla competitività. Inoltre, la qualità del prodotto finito ricavabile dagli ibridi è inarrivabile.
Lo scalogno tradizionale viene piantato a mano.
Con circa 40.000 tonnellate raccolte ogni anno, la Bretagna e la Valle della Loira contano per l'80% della produzione nazionale francese di scalogno e quasi per il 70% di quella europea. E' chiaro che vogliano difendere la loro tipicità; i produttori francesi vogliono garanzie e quindi richiedono la cancellazione da tutti i cataloghi ufficiali delle varietà che non soddisfano le caratteristiche tradizionali di scalogno, così come il divieto immediato della vendita di bulbi considerati "ingannevoli" per il consumatore, in quanto ibridi di cipolle.
Il conflitto con gli olandesi dura ormai da anni, anche perché le varietà ibride hanno tutte le caratteristiche per poter essere assimilate allo scalogno da bulbo.
La situazione in Italia: il commento di Matteo Freddi
Nel 1989, l'Italia è stata la prima a importare con continuità scalogno dalla Francia: le caratteristiche gustative ebbero successo e si creò un mercato di fan e amanti del prodotto, disposti a spendere ben più rispetto alla media delle cipolle normali. Purtroppo, con il passare degli anni, il mercato si è allargato a dismisura, dando spazio e forza anche a chi non conosceva il prodotto e al quale poco interessavano le richieste dei consumatori.
"E' diventata una mucca da mungere - commenta lo specialista in ortaggi da bulbo Matteo Freddi - e di conseguenza in Bretagna (Francia) hanno aumentato le produzioni a livelli pazzeschi, nei Paesi Bassi hanno creato gli ibridi; da noi, alcuni hanno importato cipolle fin dalla Turchia spacciandole per scalogni italiani oppure scalogno dalla Cina (sì perché si coltiva scalogno anche in Cina - è sferico, non semi-lungo o lungo - in Thailandia, Indonesia, Regno Uniti e Ucraina, tra gli altri)".
"Le origini dello scalogno risalgono alla Palestina - continua l'operatore - quindi non è corretto pensare che solo i francesi possano avere il controllo sul prodotto europeo; pur se è altrettanto vero che le tradizioni andrebbero sempre preservate. Abbiamo uno scalogno IGP da 20 anni, quello di Romagna: una produzione minuscola, che non vuole crescere e che assomiglia in tutto alla produzione tradizionale francese. Ma se la tendenza oggi è la preferenza per il prodotto locale, noi non possiamo fare altro che continuare a sviluppare la nostra filiera con lo scalogno da seme".