Iscriviti alla nostra newsletter giornaliera e tieniti aggiornato sulle ultime notizie!

Iscriviti Sono già iscritto

State utilizzando un software che blocca le nostre pubblicità (cosiddetto adblocker).

Dato che forniamo le notizie gratuitamente, contiamo sui ricavi dei nostri banner. Vi preghiamo quindi di disabilitare il vostro software di disabilitazione dei banner e di ricaricare la pagina per continuare a utilizzare questo sito.
Grazie!

Clicca qui per una guida alla disattivazione del tuo sistema software che blocca le inserzioni pubblicitarie.

Sign up for our daily Newsletter and stay up to date with all the latest news!

Registrazione I am already a subscriber
Ancora troppi segreti nel DNA delle piante

Cisgenica, genome editing e silenziamento genico: saranno il futuro dell'innovazione varietale?

"Perché oggi si parla tanto di breeding tradizionale (per incroci e selezioni) e di breeding cisgenico?", chiede Luigi Cattivelli, del CREA, Centro di Ricerca per la Genomica Vegetale di Fiorenzuola d'Arda. Venerdì scorso, 18 marzo 2016, è intervenuto al convegno organizzato dal Crpv – Centro di Ricerca per le Produzioni Vegetali e dedicato appunto al tema "La cisgenica e l'editing genetico come nuova frontiera per varietà sostenibili: opinioni a confronto".


Luigi Cattivelli, del CREA, Centro di Ricerca per la Genomica Vegetale di Fiorenzuola d'Arda, durante il convegno organizzato dal Crpv.

La risposta alla domanda è da ricercarsi, da un lato, nella necessità di trovare varietà resistenti a questa o quella avversità, oppure più performanti; dall'altro, dal bisogno dei produttori di ottenere simili nuove varietà in tempi brevi.

Spiega Cattivelli che "con il breeding tradizionale occorrono 5/6 cicli di incroci, che per il frumento si traducono in 5/6 anni, mentre per la frutta possono arrivare anche 20 anni"; con le più moderne tecniche di modificazione genetica, invece, i tempi risultano più brevi; in particolare con tre tecniche di cui c'è discusso anche venerdì.

Brevemente: la prima è la cisgenesi, in cui il DNA della pianta viene modificato usando un gene proveniente da una pianta della stessa specie: "Mediante la cisgenesi – continua Cattivelli – la nuova varietà differisce dall'originale per un gene su 3.500/4.000, contro il 5/10% nel breeding tradizionale".

La seconda novità degli ultimi anni, è il genome editing: la sequenza del DNA viene "spezzata" in un punto (in laboratorio si usa un batterio per determinare dove "rompere" la sequenza), al che la pianta reagisce cercando di riparare la rottura, ma la riparazione è spesso imprecisa e ne derivano così delle mutazioni. "Una varietà così editata è indistinguibile da una non editata", riprende Cattivelli, che pure spiega come entrambe le tecniche siano "estremizzazioni del breeding tradizionale. Nessuno può dimostrare che la modificazione non sarebbe accaduta lo stesso naturalmente".

Parallelamente una terza tecnica è il silenziamento genico, in cui cioè un gene che porta una determinata caratteristica (o debolezza) viene inibito.


Un momento del convegno.

Attenzione però ai facili entusiasmi e alle semplificazioni perché la realtà dei fatti è un po' più complicata; lo stesso Cattivelli specifica che "non è che ognuna di queste tecniche sia la risoluzione di ogni male. Rimangono ancora alcuni elementi irrisolti". Oggi "resta il problema dei marker, dei promotori e dell'eliminazione dei costrutti (le 'macchine' usate per la modificazione genetica, ndr)". Questo senza contare che parliamo di modificare sequenze di DNA: qualcosa in più di un semplice "copia e incolla" su un file di testo in un computer o della scrittura di una riga di comando di un software. "Serve un'ottima conoscenza del DNA", spiega al convegno Bruno Mezzetti, del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell'Università Politecnica delle Marche, specialista nella modificazione genetica avendo condotto test sull'uva da tavola seedless, sulle fragole di bosco, sul lampone per ottenere varietà più produttive e sul pomodoro per avere varietà senza semi.


Bruno Mezzetti, del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali dell'Università Politecnica delle Marche.

Insomma, la strada della ricerca è ancora lunga e serviranno alcuni anni (Cattivelli stima almeno tre) prima che dai laboratori inizino a uscire varietà modificate mediante cisgenesi e genome editing. "Nel mondo – riprende Mezzetti – sono state condotte ricerche ad esempio sul pesco, in specie contro la Sharka, ma ancora senza successo. Oggi tutti studiano queste tecniche, ma se escludiamo pesco e vite mancano ancora molte conoscenze". In sostanza, il DNA delle piante resta ancora per larga parte un gran mistero.


Un momento del convegno.

Tutto questo al netto dei dibattici etici e normativi (anche sul fronte della legislazione) in materia "A livello comunitario – spiega Mezzetti – c'è molto dibattito se i risultati cisgenesi, il genome editing e silenziamento genico siano da considerarsi OGM o meno. In Europa la distinzione viene fatta sul metodo e non sul prodotto. Per l'Unione Europea il genome editing non produce un OGM se elimino il 'costrutto' che ha portato alla modifica genetica, ma per questo serve almeno una generazione della pianta e ciò non sempre è possibile".


Davide Vernocchi.

Ma, se sul piano politico e dei legislatori il dibattito è ancora lungo, il versante produttivo (o quantomeno una sua fetta) sembra avere le idee abbastanza chiare. "Il mondo agricolo – spiega intervenendo al convegno di venerdì Davide Vernocchi, coordinatore del settore ortofrutticolo dell'Alleanza delle Cooperative Italiane agroalimentari – ha fame di ricerca, perché comunque ci si deve confrontare con i consumatori e spesso siamo accusati (noi produttori) di essere soggetti che inquinano. C'è fame di ricerca per uscire dalla logica delle commodities, per affrontare i competitors, per dare redditività: ma se non lo facciamo attraverso il miglioramento genetico, come possiamo essere vincenti? Lottiamo con le tempistiche e (per citare un caso) per avere una mela ticchiolatura-resistente abbiamo avuto bisogno di 7 anni, mentre varietà simili ci servirebbero in 1, 2 anni e, al riguardo, dobbiamo informare il consumatore e spiegargli che se acquista una mela resistente alla ticchiolatura, significa che mangia il frutto di una pianta che non ha subìto 14 trattamenti con fungicidi".