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Con il Nord Africa oggi, ma pure con gli States domani

Accordi di libero scambio: pericolosi se diventano a senso unico, ma anche se partono con le premesse sbagliate

In una lettera del presidente di Confagricoltura Mario Guidi all'alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini, si mette in guardia la Commissione europea sugli impatti degli accordi di libero scambio che sono stati sottoscritti nel tempo dall'UE e che sono ancora in corso di verifica.

Gli accordi infatti, se possono costituire indubbiamente un'opportunità per la crescita del settore agricolo e agroalimentare, vanno attentamente vagliati per evitare "gli impatti negativi che si verificano quando manca la piena reciprocità delle regole e quindi si determinano condizioni di distorsione della concorrenza. Bisogna stare attenti - osserva Confagricoltura - alle modalità applicative e a come si esplicano taluni meccanismi (dalle regole di origine ai prezzi dichiarati in dogana) che rischiano di alterare gli effetti delle concessioni".

Nella lettera, inviata anche ai Commissari europei per il commercio Malstroem e dell'agricoltura Hogan, nonché agli europarlamentari italiani interessati alla materia, Confagricoltura ricorda in particolare le intese con Marocco e Tunisia.

Per quanto riguarda il Marocco c'è stata una recente sentenza della Corte di Giustizia dell'UE che ha in parte annullato l'accordo commerciale che Bruxelles aveva siglato con Rabat.

Confagricoltura ha chiesto alla Commissione di cogliere l'occasione della sentenza per operare una revisione sostanziale di questo accordo, che ha registrato un volume di affari superiore a 30 milioni di euro, quasi tutti a favore delle esportazioni di ortofrutta dal Paese nord africano, con innegabili riflessi anche su comparti chiave della nostra agricoltura; basti pensare agli agrumi, che attraversano oggi una congiuntura di mercato particolarmente negativa.

Confagricoltura ha stigmatizzato anche la proposta in discussione, relativa all'autorizzazione alla Tunisia per aumentare il contingente di olio importato in Europa.

Quando poi l'accordo non parte da premesse condivise: i rischi del TTIP
"Dobbiamo trovare una soluzione win-win per far sì che il TTIP possa davvero tradursi in una opportunità di crescita economica e occupazionale per il settore agroalimentare europeo e, in particolare, per quello italiano".Così aveva dichiarato Paolo De Castro, relatore per il TTIP della Commissione Agricoltura, all'indomani (novembre 2015) degli incontri a Washington della delegazione del Parlamento europeo per approfondire alcuni aspetti del negoziato sull'accordo di libero scambio (TTIP) tra Unione europea e Stati Uniti

Il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico: l'intento dichiarato è dunque quello di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti, rendendo il commercio più fluido e penetrante tra le due sponde dell'oceano.

Tra i vari temi oggetto di discussione c'è anche quello relativo alla ferma volontà dell'UE che, all'interno del TTIP, le indicazioni geografiche vengano riconosciute e tutelate. Proprio su questo punto casca l'asino, poiché la controparte statunitense ha un'idea ben più permissiva su cosa intendere per prodotto tutelabile o meno, come analizzato da Il Sole 24 Ore.

Lo stesso segretario all'Agricoltura degli Stati Uniti, Tom Vilsack, ha dichiarato in sostanza che, salvo il rispetto della posizione europea, l'idea che un prodotto statunitense possa essere penalizzato commercialmente ed escluso dal mercato solo perché usa da decenni un nome "generico" - che guarda caso assomiglia a quello di una IGP o DOP - non sta né in cielo né in terra (secondo lui).

"La sfida qui – ha detto Vilsack – è trovare un modo per proteggere l'affermazione di valore aggiunto da parte di prodotti collegati a specifiche aree europee, senza escludere necessariamente la commercializzazione di prodotti statunitensi simili o di natura analoga". Il che la dice lunga sulle premesse concettuali dell'accordo.

La ragione che spinge gli USA a mettere le mani avanti è presto detta, come sottolinea Il Sole 24 Ore: "L'Italian sounding è un business assai fiorente. E un accordo, per parte americana, non dovrà più di tanto metterlo in discussione. Del resto, come dimostrato alcuni giorni fa da una ricerca promossa dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, il 67% dei consumatori negli Usa quando mangia il "parmesan" è convinto di trovarsi di fronte a autentico prodotto italiano: per due terzi degli statunitensi il termine "parmesan" non è quindi affatto generico, come sostengono le industrie casearie americane. 'Un inganno - ha sottolineato il direttore del Consorzio, Riccardo Deserti - che negli Usa costituisce un grave pregiudizio all'incremento delle nostre esportazioni' ".

Chi decide in caso di controversie?
Come scrive Alfred Frei del Centro tutela dei Consumatori Utenti di Bolzano sull'ultimo bollettino ANDMI: "Il Trattato prevede l'introduzione di due organismi tecnici potenzialmente molto potenti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini. Il primo, un meccanismo di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement – ISDS), consentirebbe alle imprese italiane o USA di citare gli opposti Governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri. Ogni controversia sarebbe da dirimersi da parte di avvocati commerciali superspecializzati, i quali giudicherebbero solo sulla base del trattato stesso".

"Un altro organismo di cui viene prevista l'introduzione è il Regulatory Cooperation Council: un organo dove esperti nominati della Commissione UE e del ministero USA competente valuterebbero l'impatto commerciale di ogni marchio, regola, etichetta, ma anche contratto di lavoro o standard di sicurezza operativi a livello nazionale, federale o europeo. A sua discrezione, sarebbe valutato il rapporto costi/benefici di ogni misura e il livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE da raggiungere, e quindi la loro effettiva introduzione o mantenimento". Un'assurdità antidemocratica, commenta Frei.

E la Storia recente ci insegna che, quando a dominare il mercato sono solo le logiche del profitto, il danno per la collettività è distante solo di un passo.