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Macfrut Forum: il consumatore cambia... e il mondo della produzione?

Chiamatelo consumatore post-crisi, oppure nuovo consumatore; fatto sta che lui, cioè il protagonista della domanda, non è più quello al quale tutti si erano abituati. Se la domanda cambia il luogo e il modo in cui si manifesta, il punto vendita sta cercando di correre ai ripari, mentre gran parte dell'offerta, cioè la produzione, sembra stia ancora guardare. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerso dalle sessioni pomeridiane del Macfrut Forum svoltosi ieri a Cesena: una dedicata al presente e al futuro delle promozioni nei punti vendita; l'altra all'innovazione tecnologica.


Il palco dei relatori in occasione della prima delle due sessioni pomeridiane al Macfrut Forum, quella dedicata al presente e futuro delle promozioni nei punti vendita.

Ma quant'è davvero cambiato il consumatore?
"Nel 2013 avevamo 1.780 prodotti in promozione – spiega Germano Fabriani di Coop Italia – ma non c'è stato nessun ritorno nella percezione del consumatore; egli non pensava che il prodotto fosse davvero in offerta; per lui, anche in sconto, i prezzi di frutta e verdura erano comunque troppo alti. Dall'arrivo della crisi abbiamo perciò aumentato la scontistica, pensando di andare incontro a un consumatore in crisi", manovra che però non ha frenato il lento declino dei consumi dell'ortofrutta.


Germano Fabriani, Coop Italia.

"Allora abbiamo deciso di cambiare approccio – continua Fabriani – perché i nuovi consumatori non sono degli esperti e i prodotti non parlano da soli. Sul fronte della comunicazione, in tal senso, siamo ancora indietro. Così abbiamo iniziato a raccontare l'importanza della stagionalità, abbiamo riscoperto e riproposto agli acquirenti vecchie varietà, abbiamo comunicato in store le origini dei prodotti e il loro uso; in futuro, le promozioni punteranno sul fare meno acquisti, ma più oculati", piuttosto che seguire il trend di questi anni di promo per tenere costanti (se non aumentare) i consumi.


Matteo Benatti, supplier relationship manager di Tesco in Italia.

Anche all'estero le cose non sono poi tanto diverse. "Per usare le parole del nuovo AD di Tesco, dobbiamo capire di nuovo cosa il consumatore voglia – spiega Matteo Benatti, supplier relationship manager di Tesco in Italia – Oggi la catena britannica sta cercando di ridurre la propria offerta, perché il consumatore era in confusione"; un caos da eccesso d'offerta.

Dello stesso avviso anche Chris Grobbler, responsabile di progetto presso un altro big dei retailer britannici, Sainsbury's: "Dobbiamo cercare di comprendere le esigenze del consumatore – interviene – ma anche di educarlo: il pubblico non è aperto alle novità, c'è tutto un lavoro da fare, alla base".


Chris Grobbler, responsabile di progetto Sainsbury's.

Di un gap comunicativo parla anche un altro dei relatori al Macfrut Forum, l'unico extra-settore, Mario Trimarchi, titolare di Fragile, studio di design di Milano. "Il problema – spiega - è che il produttore è più bravo di quanto il consumatore pensi. Bisognerebbe raccontare questa bravura, fatta di numeri, di storia, di esperienza, di volumi incredibili, di qualità"; tant'è che, insieme al Cso-Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara, proprio Trimarchi e il suo studio stanno lavorando a un progetto per raccontare l'ortofrutta italiana: "un format itinerante – continua – per un consumo consapevole, dove frutta e verdura incontrano le persone. La sfida è essere pronti per febbraio 2016".


Mario Trimarchi, socio titolare dell'agenzia di design Fragile.

Ma se, come abbiamo visto, la domanda è cambiata e il luogo in cui domanda e offerta si incontrano sta provando a modificarsi, cosa accade per quanto riguarda il terzo elemento dell'equazione, cioè quello produttivo? "Negli anni – riprende Mateo Benatti, di Tesco – l'Italia ha perduto posizioni nel Regno Unito; in questo momento i prodotti italiani non sono sugli scaffali di Tesco, per esempio, ma la ruota gira...".

Ergo una posizione persa (o mai avuta) potrebbe essere (ri)conquistata, a patto di essere preparati, perché secondo il supplier relationship manager della catena inglese sono sostanzialmente 4 i punti dolenti dell'export ortofrutticolo italiano nel paese di Sua Maestà: per quanto banale il primo è la lingua Inglese "che molti (con aspirazioni d'esportazione, ndr) non conoscono"; poi, ancora, il calendario produttivo, perché sugli scaffali si cercano prodotti che possano coprire 12 mesi all'anno; la logistica ("dall'Italia a Londra sono due giorni di viaggio, con tutto quello che ne consegue") e in Inghilterra ci sono regole diverse, ad esempio sulla data di scadenza dei prodotti: la Spagna ha investito in piattaforme logistiche nel Regno Unito, mentre in Italia non c'è nessuno (o quasi) che l'abbia fatto". E infine la qualità, che "dev'essere quella giusta, quella richiesta dal consumatore: è un compromesso tra il gusto, il sapore, l'aspetto e il prezzo".


Il pubblico ieri pomeriggio al Macfrut Forum

Sulla stessa lunghezza d'onda anche Angelo Benedetti, presidente di Unitec, il quale ha aperto i lavori della sessione dedicata all'uso della tecnologia in ortofrutta. "Finora – commenta il patron Unitec – gli investimenti erano indirizzati ad aumentare la resa per ettaro e a trovare nuove varietà, tutto con lo scopo di aumentare i ricavi. Ma questo obiettivo è stato raggiunto? Non mi sembra. Dobbiamo dunque chiederci come mai finora questo schema non abbia funzionato. Perché spesso troviamo delle giustificazioni: la stagionalità, l'alto costo della manodopera, gli appezzamenti troppo piccoli, la crisi, l'assenza di finanziamenti. Tutte motivazioni che hanno un fondo di verità, non possiamo negarlo, ma più ci ancoriamo a questi aspetti meno ci impegniamo a uscire da quello che è un concetto culturale perdente".


Angelo Benedetti, presidente di Unitec.

Tenendo fermo l'obiettivo dei maggiori ricavi, secondo Benedetti la ricetta per uscire dall'impasse passa per la tecnologia e per quella che definisce come differenziazione della qualità, perché "esiste una qualità soggettiva". Insomma, ciò che può andare bene in un mercato, può fallire in un altro; quello che può piacere a un dato segmento di consumatori può essere snobbato da un altro.

Benedetti ha citato il caso del Cile e delle sue esportazioni ortofrutticole: il 70% delle ciliegie cilene che lasciano i confini del paese sudamericano sono dirette in Asia, nonostante la notevole distanza geografica. "Semplicemente – spiega – i cileni, grazie alla tecnologia, sono in grado di spedire solo i frutti in grado di reggere un viaggio così lungo. Oggi, insomma, la tecnologia ci permette di offrire una qualità coerente e differenziata, che risponda ai bisogni dei singoli gruppi di clienti e consumatori".


Il pubblico ieri pomeriggio al Macfrut Forum

"La tecnologia non è un costo – chiude Benedetti – ma uno strumento per lavorare meglio; si ripaga da sola. Oggi invece si rischia di vanificare tutta la fatica fatta per allevare una pianta, mescolando prodotti buoni con prodotti che non lo sono, alla fine del processo produttivo".