EcoFood: il progetto del Politecnico di Torino per riutilizzare gli scarti agroalimentari
Il progetto, cofinanziato con fondi europei e costato in tutto circa 7 milioni di euro, ha visto la collaborazione, negli ultimi quattro anni, tra i ricercatori del Politecnico di Torino e aziende blasonate (da Ferrero a Lavazza passando per Fontanafredda).
"Immaginate quanti rifiuti producono queste aziende in un determinato periodo dell'anno, ecco perché anche la stagionalità del rifiuto è importante quando si parla di recupero e riciclo" ha spiegato Debora Fino, esperta di impianti chimici e reimpiego degli scarti nei processi industriali per la produzione di energia nonché docente presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico torinese.
"Non sempre si presta attenzione al momento in cui un certo prodotto viene realizzato – ha continuato la Fino – e invece sapere che le lavorazioni seguono un ritmo, una stagionalità, è stato importantissimo per disegnare processi di riuso efficaci. Molti di questi sotto-prodotti, adesso, riescono ad essere reimpiegati per la produzione di energia".
Solo per fare il caso della nocciola, per esempio, se reimmessa nel ciclo riesce a ridurre del 30% il fabbisogno energetico del processo produttivo. Un risultato che si presta a diventare buona pratica adottata da qualunque azienda che nel mondo abbia a che fare con gusci, noci, nocciole.
Altre applicazioni interessanti dei residui agroalimentari riguardano il packaging dei prodotti: riso e altri alimenti possono rafforzare le confezioni e migliorarne le capacità di conservare i cibi. La Fino ha provato con la sua squadra anche a produrre etichette alimentari con i derivati del riso.
Lo studio, insomma, dimostra che le aziende non solo possono risparmiare valorizzando gli scarti ma possono anche produrre alimenti a più basso impatto ambientale.
"Certo – ha concluso la professoressa – analizzare e reimpiegare gli scarti ha ancora un costo elevato, ma dobbiamo farlo".