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Il presidente APEO difende il modello agricolo pugliese

"Giacomo Suglia: "Il caporalato va combattuto, ma il lavoro nei campi non e' schiavitu' "

Si sente due volte chiamato in causa Giacomo Suglia (nella foto), presidente dell'Associazione pugliese esportatori ortofrutticoli (APEO), quando si parla di caporalato: come imprenditore agricolo e come operatore con sede in Puglia, regione negli ultimi tempi teatro di gravi fatti di cronaca (tra cui la morte di alcuni lavoratori). FreshPlaza ha chiesto il suo parere.

FreshPlaza (FP) – Presidente, negli ultimi giorni si sente spesso parlare di "schiavitù" nei campi. Qual è il suo parere?
Giacomo Suglia (GS) - E' un termine orribile! E nel 2015, in un Paese di grandi valori umani e sociali come l'Italia, chi lo usa vuole portare all'estremo l'analisi della situazione, forse per rendiconto "di parte". Come ha dichiarato lo stesso Ministro Martina, non bisogna generalizzare la situazione e dipingere tutto in negativo, perché la stragrande maggioranza delle imprese agricole rispetta le regole.

In questi giorni ho assistito a un'esibizione di concetti volti a demonizzare questo nostro nobile settore. La coltivazione della terra è tra i lavori più antichi al mondo, un mondo spesso citato per i grandi valori umani, sociali e familiari, dove ci sono anche grandi interessi economici, perché non produce beni di lusso, ma merci indispensabili alla sopravvivenza. Senza il lavoro della terra non potremmo vivere. E questo lo sappiamo bene noi, che nei campi lavoriamo da generazioni. Con il passare degli anni, l'agricoltura ha assunto sempre più valore: nei campi oggi lavorano persone formate, spesso laureate, che sono rispettate e retribuite in modo equo.

FP - Ma qualcuno ha denunciato un "sistema" di lavoro. Dove sta la verità?

GS - Che una denuncia sul sistema di lavoro parta da un sindacalista, se pure con un eccessivo grado di esibizionismo, posso anche comprenderlo. Ma non approvo lo sciacallaggio scatenatosi intorno a una disgrazia. Politici, giornalisti e professori si sono sentiti in diritto di esprimere le loro accuse, come fossero grandi esperti del tema; a mio parere, sarebbe stato il caso di usare un po' più di buon senso.

FP - Quanto è importante il settore agricolo nell'economia italiana?
GS - L'agricoltura muove un indotto che va dall'industria meccanica a quella chimica, dai trasporti (su strada, marittimi e aerei) alla finanza, dalle banche agli imballaggi e così di seguito. Per questo tutti noi dobbiamo avere rispetto per un settore che io continuo a definire nobile.

FP - Ha pensato di confrontarsi con le Istituzioni?
GS - Lunedì scorso, il 24 agosto 2015, ho avuto un incontro in Prefettura a Bari, lamentandomi dell'eccessivo "chiasso" che si sta facendo sul tema "schiavitù nei campi". Svegliarsi prima dell'alba per andare in campagna non significa essere schiavi, come non lo è dover percorrere alcuni chilometri per raggiungere il proprio posto di lavoro. Quello del pendolarismo è un fenomeno diffuso anche in altri settori.

Per quanto riguarda il mondo agricolo, poi, siamo gli unici - credo - a farci carico del costo del trasporto dei lavoratori con pullman propri o presi a noleggio con regolare contratto. Vorrei smentire un'altra voce fuorviante che sento circolare ultimamente: si parla di lavoro nero nei campi ma, se andiamo a consultare i dati Inps, il nostro è il settore con il maggior numero di assunzioni e relativi pagamenti dei contributi.

FP - Ci sono quindi problemi più importanti da affrontare, secondo lei?
GS - Partiamo dal presupposto che il caporalato, dove è applicato, è un male che va curato. Ma l'agricoltura è fatta soprattutto da persone capaci e costruttive che continuano a tenere alta la qualità dei nostri pregiati prodotti. Ogni giorno rischiamo di perdere mercato nei confronti di concorrenti agguerriti, che offrono prodotti a prezzi più bassi, grazie a costi di produzione decisamente più competitivi.

E poi stiamo tralasciando un problema che incide fortemente in termini economici e di posti di lavoro a livello europeo e che si chiama embargo russo. Da agosto 2014 ad aprile di quest'anno, l'export agroalimentare verso la Russia dei Paesi interessati dal blocco è diminuito di ben 2,2 miliardi di euro.

Associare l'agricoltura solo alla schiavitù nei campi sta mettendo in secondo piano il vero problema, dell'uva da tavola e di tante altre colture: la crisi mondiale sta facendo scendere i consumi ma, di contro, i costi delle materie prime aumentano, e questo nonostante il valore del petrolio sia in continuo calo. Non sarebbe meglio costituire presso i Ministeri dell'Agricoltura e dello Sviluppo Economico una Cabina di regia con la partecipazione delle imprese? Magari creando un sistema agroalimentare italiano volto a tutelare e valorizzare i nostri prodotti, in collaborazione con gli attori della filiera che ogni giorno si impegnano a produrre nella massima sicurezza alimentare e fitosanitaria, oltre a confezionare e distribuire in tutto il mondo.