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Fotosintesi inefficiente? Hacker biologici al lavoro per migliorare le rese delle piante

L'aumento della popolazione mondiale è una costante: se alcune stime indicano che entro il 2050 sulla Terra saremo in 9 miliardi, altre rivelano invece che saremo addirittura in 11 miliardi da qui al 2100. Popolazione più numerosa significa maggiore richiesta di cibo, ma quest'assioma si scontra con la stagnazione della produzione di derrate alimentari. Serve più cibo, ma non c'è altra terra da coltivare in quantità sufficienti.

Trovare come sfamare la futura popolazione mondiale è una delle maggiori sfide del genere umano; per questo la ricerca procede un po' in tutte le direzioni. A New York, presso il Cold Spring Harbor Laboratory (CSH) un gruppo di ricercatori sta cercando di riprogettare il sistema biologico delle piante per renderle più produttive migliorandone la fotosintesi.

Una maggiore efficienza della fotosintesi si potrebbe ottenere in diversi modi. Per esempio migliorando la capacità di assorbire la luce delle foglie, che è già molto alta perché le piante si sono evolute proprio per poter effettuare la fotosintesi anche con poca luce, come avviene ad esempio di notte, all'alba o al tramonto.

Il sistema è talmente potente che a mezzogiorno, nel momento di massima irradiazione solare, la pianta assorbe talmente tanta energia che questa, inutilizzata in parte, deve essere dissipata sotto forma di calore. Riducendo il numero di pigmenti come clorofille e carotenoidi in grado di assorbire la luce si potrebbe dunque riuscire nello scopo di rendere efficiente la fotosintesi nelle ore centrali del giorno, a scapito però delle rese durante le ore più buie.


Le nuove frontiere della ricerca: le piante del futuro potrebbero fotosintetizzare luce a nuovi spettri (Foto: Philips).

Un altro metodo potrebbe essere quello di usare sistemi per la fotosintesi più efficienti, al posto della tradizionale clorofilla; un'alternativa in tal senso potrebbe venire da un batterio fotosintetico, il bacteriochlorophyll B.

Simili soluzioni, che sembrano valide sulla carta, si scontrano però tutte con il passaggio successivo della fotosintesi: cioè la fissazione del carbonio. Infatti il fattore che più limita la produttività delle piante è la loro incapacità di sfruttare al massimo, durante appunto la fotosintesi, tutta la luce solare.

La causa è il catalizzatore responsabile della fotosintesi, un enzima chiamato Rubisco, che non riesce a sfruttare tutta la luce che ha a disposizione. Insomma è 'lento', ed è per questo che le piante, a mezzogiorno, sono in grado di assorbire molta luce e trasformarla in energia, che però va in parte dissipata. Se si riuscisse a migliorare l'azione di quest'enzima i vantaggi sarebbero indiscussi, ed è proprio ciò che stanno provando a fare al CHS; gli esempi in natura non mancano: è il caso di alcune alghe e batteri che hanno abbandonato il Rubisco a favore di un diverso sistema di fissazione del carbonio; si tratta di capire quale e replicarlo anche sui campi.

Non solo, perché gli scienziati al CHS stanno cercando di migliorare l'efficienza della pianta nel suo complesso, 'manomettendone' il funzionamento. Oggi una pianta funziona a due velocità: ci sono le foglie più in alto che assorbono molta luce e producono molto, al contrario di quelle più in basso a cui arriva meno luce. Gli scienziati stanno cercando di modificare questo squilibrio, orientando in modo diverso la pianta, oppure manipolando con tecniche di biologia sintetica le piante: diminuendo il numero di pigmenti nelle foglie in alto e aumentandolo in quelle inferiori, per ottenere un sistema più bilanciato; oppure introducendo pigmenti diversi in grado di assorbire spettri della luce diversi: se la clorofilla assorbe lo spettro della luce visibile, il bacteriochlorophyll B potrebbe essere inserito come pigmento nelle fasce basse della pianta, essendo in grado di assorbire anche la luce infrarossa.

Rielaborazione FreshPlaza su fonte Chil Biotechnology