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Frutta e verdura possono combattere la fame nel mondo?

Negli ultimi 10 anni la produzione mondiale di frutta e verdura è cresciuta al ritmo di un +3% all'anno e nel 2012 si è arrivati a 637 milioni di tonnellate di frutta prodotta e 1,1 miliardi di tonnellate di verdura. Quest'aumento è stato spinto dall'Asia e in particolare dalla Cina, che si è attestata come il maggiore produttore mondiale: è infatti "made in China" il 20% e il 50% rispettivamente di frutta e verdura.

Ma importanti crescite si sono registrate anche in paesi a basso reddito e a rischio alimentare dell'Africa Sub-Sahariana e dell'Asia meridionale. E' il caso di Etiopia, Ghana, Ruanda, Uganda, Indonesia e Vietnam, merito anche dei progetti di assistenza messi in campo in queste aree; eppure in questi paesi si è ancora lontani dall'optimum, perché recenti studi condotti nell'Africa Sub-Sahariana rilevano come in Randa il 12,6% del budget familiare venga speso in frutta e verdura, contro il 6,9% in Kenya e Ghana, il 5,1% in Uganda e il 2,7% Etiopia; dati che tuttavia dicono relativamente poco, perché molto dipende dal reddito familiare o dai prezzi alimentari.

Qualcosa di più ce lo dicono i consumi pro-capite annuali di frutta e verdura: 114 chili in Kenya, 73,7 in Ghana, 64,2 e 62,8 chili rispettivamente in Uganda e Ruanda e, fanalino di coda, l'Etiopia con appena 26,7 chili. Tutti valori al di sotto dei 146 chili di frutta e verdura pro-capite all'anno indicati dalla FAO come minimo. In media, il consumo medio annuale di frutta e verdura nei paesi dell'Africa Sub-Sahariana è inferiore di ben 100 chili rispetto alle raccomandazioni FAO; il che significa che dei 400 grammi al giorno raccomandati ne mancano all'appello 250. Nel frattempo, più di una ricerca dimostra i benefici del consumo di frutta e verdura, specialmente in tenera età.

Attingendo dalla letteratura in materia, una recente ricerca (clicca qui per scaricarla) condotta dall'Università olandese di Wageningen e dalla Food & Business Knowledge Platform vuole far luce sul fenomeno e indagare come la produzione di frutta e verdura possa costituire un aiuto per combattere fame e povertà, al di là degli aspetti salutistici.


Un mercato locale in Kenya.

Come dimostrato da molti studi citati nella ricerca, la produzione di frutta e verdura è più redditizia rispetto ad altre colture tradizionali come il mais; non solo perché l'ortofrutta è un alimento 'ready-to-eat'. Se per ogni ettaro coltivato a mais e fagioli un agricoltore keniota guadagna, con i due raccolti all'anno che si fanno, tra i 20mila e i 25mila scellini kenioti (KES), cioè tra i 180 e i 230 euro, per un mezzo ettaro coltivato a fagiolini (produzione che però ha bisogno di più manodopera) si può arrivare anche tra i 75mila e i 120mila KES (680-1100 euro) all'anno.

Come noto, però, anche la produzione di frutta e verdura non è esente da rischi: leggasi siccità, maltempo, fitopatie. A questi vanno poi aggiunti dai tre ai cinque anni (necessari perché un albero da frutto appena piantato entri in produzione) e gli alti costi di riconversione. Non tutti i piccoli agricoltori hanno i fondi o l'accesso al credito necessario.

Comunque sia, è dimostrato il vantaggio di queste colture a maggiore valore: in Madagascar hanno contribuito ad accorciare la cosiddetta "stagione della fame", cioè il periodo dell'anno compreso tra un raccolto e un altro, mentre in Kenya l'uso di serre per la produzione di pomodori ha permesso di limitare l'impatto del maltempo, decuplicando la redditività rispetto alle colture in pieno campo e - con un'irrigazione adeguata (cfr. FreshPlaza del 21/04/2015) - garantendo la disponibilità per 365 giorni all'anno.

C'è poi il tema del lavoro. Frutteti e campi di orticole hanno bisogno di una maggiore manodopera e studi dimostrano come in Africa il lavoro nelle coltivazioni più specializzate e a maggiore complessità sia per lo più femminile; in Africa, Asia e America Latina questi settori impiegano il 50% di manodopera femminile in più in confronto ad altri settori. In Etiopia una fattoria di circa 10 ettari può arrivare a impiegare tra le 38 e le 50 donne al giorno per la raccolta e la selezione di frutta e verdura, contro i 17 uomini impiegati per i lavori più duri, come l'irrigazione e il trasporto. Ma questo come può aiutare a combattere fame e povertà? Ebbene, le ricerche dimostrano che le donne sono più propense ad acquistare frutta e verdura e redditi maggiori nelle loro tasche possono pertanto tradursi in un consumo maggiore di questi prodotti alimentari; non è una caso il dato sopra riportato del consumo pro-capite in Kenya e Rwanda: qui tradizionalmente l'economia domestica è in mano per la maggior parte alle donne.

Ma la sicurezza alimentare può essere migliorata anche riducendo gli scarti alimentari e gli sprechi, specie nella fase post-raccolta. Questo almeno sulla carta, perché sono pochi gli studi in materia davvero attendibili; se è vero infatti che la riduzione degli sprechi in pre e post-raccolta porta a un aumento della sicurezza alimentare e della redditività nei primi passaggi della supply chain, è altrettanto vero che questi benefici si "diluiscono" man mano che scorrendo lungo la filiera ci si allontana dalla produzione. Inoltre in questi casi si tratta di interventi che hanno bisogno di grossi investimenti, spesso frenati dalla mancanza di trasparenza e dalla corruzione nei paesi in via di sviluppo.

Infine - tra le tematiche toccate dal rapporto curato dall'ateneo di Wageningen e dalla Food & Business Knowledge Platform - c'è l'aspetto commerciale, come dimostrano diverse ricerche: chi produce anche frutta e verdura piuttosto che solo mais, fagioli e simili ha vita più facile sui mercati quando arriva il momento di vendere i propri prodotti e ricavarne un profitto. In Bangladesh per esempio gli agricoltori riescono a vendere sui mercati locali il 96% della propria produzione di frutta e verdura, contro il 19% della loro produzione cerealicola; percentuali analoghe si trovano anche nel Sud-Est asiatico e nell'Africa orientale. In Tanzania vendono sui mercati locali il 100% dei produttori di frutta, il 98% dei produttori di verdura esotica e l'88% dei produttori di verdura esotica tradizionale, contro il 49% di chi coltiva cereali. In Vietnam invece vende sul mercato una percentuale del 70% dei produttori di frutta e verdura.

Rielaborazione FreshPlaza su fonte www.topsectortu.nl